Verdone, film onesto ma poco incisivo

Il film non convince sempre ma conquista per una malinconica onestà di fondo, per la sincerità espressiva con la quale si getta nei problemi dell’Italia contemporanea. Un nuovo capitolo della commedia umana del regista di Massimo Giraldi

«Non mi metto mai a calcolare cosa si aspetta il pubblico da me. Cerco, in poche parole, di raccontare debolezze, nevrosi, sbandamenti, vittorie e sconfitte del tempo che viviamo». Così Carlo Verdone introduce Sotto una buona stella, il ventiquattresimo film diretto e interpretato a partire dal lontano ma non dimenticato Un sacco bello, 1978. La storia prende il via quando, durante una festa, Federico Picchioni riceve la notizia che la ex moglie è in fin di vita. Non trova la forza per sganciarsi, arriva in ospedale quando la donna è ormai deceduta e può solo prendersi i rimproveri dei due figli, Niccolò e Lia, che gli rovesciano addosso la sua prolungata assenza, affettiva e fisica. Come se non bastasse, uno scandalo finanziario porta alla rovina la holding dove lavora.

Niente ufficio, niente impiego, impossibilità di pagare l’affitto per i figli, e drastica decisione: tutti a vivere a casa sua, compresa la figlioletta di Lia. La convivenza però crea tensione. Una mattina Federico va a protestare nell’appartamento accanto dove è arrivata una nuova vicina. Aggredita, la donna che apre si difende, affermando di essere la badante romena. Comincia da qui la seconda parte della vicenda, durante la quale lei rivela di chiamarsi Luisa Tombolini, vera proprietaria e impegnata nel ruolo di «tagliatrice di teste» nelle aziende in crisi.

Deve essere affrontata una serie di equivoci, prima che Federico e Luisa riescano a trovare la giusta misura per dare il via a una storia sentimentale. Nel succedersi degli eventi, tutto è utile per evitare che il lieto fine risulti troppo prevedibile. Nell’interpretare il ruolo di Picchioni, Verdone non rinuncia a colorire il personaggio di indecisioni, sorprese, turbamenti, soprattutto fraintendimenti: affidandosi a mimica, gestualità, giochi di parole che rimandano a una comicità «antica», il che vuol dire seria, genuina (vedi lo sketch finale sul divano di casa; l’impossibilità di bere un caffè).

Picchioni è il prototipo dell’uomo di oggi, che sa le difficoltà del presente, non pensa di essere migliore di altri ma sa di avere la forza per spingere gli altri a fare qualcosa di meglio, a dare l’esempio per un miglior vivere civile. In primo luogo pensando ai figli, che tuttavia vedrà allontanarsi e lasciare l’Italia per l’Inghilterra. Mite ma non pavido, aperto ma non indifferente, disponibile ma non neutrale, Picchioni è forse Verdone, giunto a un punto decisivo della propria carriera di artista. Il film magari non è sempre incisivo ma conquista per una malinconica onestà di fondo, per la sincerità espressiva con la quale si getta nei problemi dell’Italia contemporanea. Come un nuovo capitolo della sua divertita, serena commedia umana: di uomo, di padre, di regista.

17 febbraio 2014

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