Vasco Rossi, le domande sulla vita

Il rock del cantautore di Zocca a servizio di un mondo di desideri, sconfitte, aspirazioni in cui si sono riconosciuti milioni di giovani.
di Walter Gatti

È scoppiata la stagione dei concerti e decine di migliaia di giovani e fans s’affollano per ascoltare Pearl Jam, Rolling Stones, Eagles o Ligabue. Nei prossimi giorni, poi, sarà la volta di Vasco Rossi, l’uomo degli stadi gremiti, del sudore sul palco, delle energie gettate nell’adrenalina del pubblico. L’età avanza, gli acciacchi, anche, ma non si può negare che il rocker di Zocca abbia un elenco di titoli da far contento più o meno chiunque frequenti il mondo del rock, da Vita Spericolata a Siamo solo noi, da Albachiara a Vado al massimo.

Così, potrà non piacere oppure potrà piacere troppo, Vasco Rossi si conferma ancora un pezzo stabile ed ineliminabile della canzone italiana dai primi anni ’80 in poi. Sul palco di Sanremo con Vita spericolata ha introdotto un nuovo mondo in tivù, nelle classifiche, nel modo di fare e rappresentare l’italica canzone. Ha portato quel suo andamento “svaccato” ch’è del rock di ogni latitudine e che nel mondo italiano – dominato dal cantautorato che per natura è colto o tendente al colto – ha fino a un certo punto avuto poco spazio, se non quello di Rino Gaetano.

Tra le canzoni con cui Vasco ha scritto parte della storia rock italiana, rappresentando nel bene o nel male il suo mondo e il mondo di molti giovani, due si possono prendere a simbolo e valore:
Liberi liberi e E adesso che tocca a me. La prima è una classica ballatona da romantic-rock, riflessione dolente e rabbiosa sul tema che da tempo sta a più a cuore al rockettaro di Zocca: dove finiscono i desideri più radicali? Perché nello scontro o incontro con la realtà tutte le cose sperate-desiderate-cercate, si sporcano, si sgretolano, si polverizzano?

È una canzone di domande, di domande urlate, come spessissimo accade con questo musicista:

Quella voglia, la voglia di vivere/ quella voglia che c’era allora / chissà dov’è?/ chissà dov’è?” E su tutte l’ultima domanda: “cosa diventò, cosa diventò/ quella voglia che avevi in più/ cosa diventò, cosa diventò/ e come mai non ricordi più….. “.

Si cresce. Si invecchia. Si fa piazza pulita. Ma anche senza invecchiare più di tanto, ci si imbatte nei mille sotterfugi con cui tocca vivere la realtà ( “E come mai non ricordi più?”). Mettersi le pantofole, rispondere con mille risposte a metà (donne e uomini, amori e poteri, denari e soddisfazioni miscelate), evitare un affronto radicale, vero, profondo, autentico. Il trionfo borghese è sempre stato uno spauracchio per il Vasco. E non importa come abbia poi lui “reagito” a questo trionfo, ch’è poi la sconfitta del desiderio giovane. Rimangono le due domande: liberi da cosa e smemori perché?

Lo stesso tema il Vasco l’ha riproposto anni dopo, nell’altra canzone citata:

E adesso che sono arrivato Fin qui grazie ai miei sogni Che cosa me ne faccio della realtà?

Il Vasco Rossi da Zocca dice le cose in modo imbattibile. I sogni sono per gran parte dei rockettari nostrani e non, il grande punto di riferimento umano e artistico. Se oggi il sogno è così spesso uno dei tentativi dichiarati di quello scappare dalla realtà che è tanto di moda tra chi non riesce ad affrontarla, il rock ne è spesso cantore e portavoce. Con il risultato di Vasco (che non è da tutti): di cogliere il punto nevralgico, acutissimo, originalissimo:

“Adesso che non ho / Più le mie illusioni / Che cosa me ne frega della verità?”

Ai tempi dei suoi esordi – cioè negli anni ’80 – gli osservatori e i critici del costume italico attaccavano Vasco perché dicevano che era un’immagine deleteria, che offriva modelli negativi ai giovani. Magari è anche vero: forse uno non se la sentirebbe di proporre il Vasco ai figli come professore di vita quotidiana. Eppure…. guai a sottovalutarlo, perché ha un senso unico e impressionante per esprimere le cose che sono sotto gli occhi di tutti.

Se in Siamo solo noi arriva a disegnare il senso di una nuova antropologia, di una nuova comunità umana accomunata dal non avere riferimenti, bensì paure, divertimenti e istinti in comune (“generazione di sconvolti senza più santi ne eroi”), in un altro celebre pezzo, butta lì con il suo fare un po’ svagato “sto cercando di dare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha” (Un senso).

Chitarre sempre efficaci, sezioni ritmiche potenti, un lavoro romantico-melodico che è il vero marchio di fabbrica del Vasco: tutto questo è a servizio di un mondo di desideri, sconfitte, aspirazioni in cui si sono riconosciuti milioni di giovani italiani. Proprio perché nelle sue canzoni non c’è nulla di artefatto, ma tutto è molto “istintivo”, vale la pena di non passarci su con superficialità: raccontano l’essere giovani e l’essere uomini nell’Italia degli ultimi 30 anni.

Difficile come sempre dire dove si posizioni il buon Vasco di fronte alle sue stesse domande, ma forse è una considerazione inutile. A conti fatti cosa importa il “da che parte sta” un musicista (a volte si fan chiamare artisti, altre volte li chiamano così per motivare il bailamme che c’è intorno a loro), quel che conta è il sasso che getta nello stagno.
Più o meno ironicamente, più o meno sanguinosamente, più o meno abulicamente Vasco getta il sasso: e adesso che tocca a me e a te, che succede? C’è sempre un momento in cui la vita chiede. O meglio: ci sono sempre “tanti momenti” in cui la vita chiede e non c’è nulla di preconfezionato nella risposta. O ti lasci percuotere, oppure ti emozioni quanto basta per dimenticarlo alla svelta. Quando tocca a te i casi sono due: o ci sei, o non ci sei. E la risposta non si esaurisce in un bel concerto.

23 giugno 2014

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