«Un prete tra Roma e l’Oriente»

Uscito un volume dello storico D’Angelo (nella foto) sulla vita di don Santoro, ucciso in Turchia il 5 febbraio scorso di Angelo Zema

L’attesa per il viaggio del Papa in Turchia è grande. «Per coloro che sono appassionati del dialogo, la Turchia è una terra inevitabile», ha scritto il vicario apostolico di Istanbul in un articolo per il Sir, spiegando che «per comprendere questo evento in profondità, è necessario reimmergersi nella grande storia della Chiesa». Una storia che appunto affonda le sue radici anche in quei territori. «Anche questa è terra santa»: così disse don Andrea Santoro, nell’incontro che ebbe con noi di Roma sette nel gennaio scorso, pochi giorni prima di essere assassinato a Trabzon, in quel 5 di febbraio, mentre pregava nella sua chiesa. Don Andrea aveva scoperto l’Oriente, luogo di memorie cristiane ma anche di comunità cristiane, pur se numericamente scarse. «Intendeva essere – affermò il cardinale Ruini all’omelia dei funerali – una presenza credente e amica, favorire uno scambio di doni, anzitutto spirituali, tra l’Oriente e Roma tra cristiani, ebrei e musulmani».

Proprio per approfondire il significato della sua presenza in Turchia e ricordare il suo impegno dall’inizio del suo ministero sacerdotale a Roma, oltre che per scoprire il contesto ecclesiale e culturale di quella terra dove tra poche ore arriverà Benedetto XVI, giunge opportuno nelle librerie il volume «Don Andrea Santoro – Un prete tra Roma e l’Oriente». Il libro dello storico Augusto D’Angelo (edito da San Paolo) ripercorre l’esperienza del presbitero nato a Priverno e comprende anche testimonianze e documenti. Tra le prime, alcuni ricordi di amici del sacerdote ucciso e di pellegrini da lui guidati tra le memorie della fede cristiana in Turchia. Tra i documenti, la lettera preparata da don Santoro per l’Opera romana pellegrinaggi al fine di introdurre un itinerario poi annullato per gli attentati dell’11 settembre 2001: un testo dove rievocava gli inizi della sua esperienza personale, la sua ricerca di «un luogo in cui “abitare con Dio” e avere il tempo per ascoltarlo, per parlargli, per capirlo, per farmi prendere in custodia da lui».

Il libro di D’Angelo, allora – oltre che l’«omaggio» di uno studioso romano alla sua Chiesa e a un servitore di Cristo che ha pagato con la vita la sua testimonianza – è anche un cammino alla scoperta di un uomo di preghiera, di un prete esigente con la sua personalità inquieta, che si affida a Dio «con la limpidezza enorme della testimonianza». «È una bella storia – scrive nell’introduzione lo storico Andrea Riccardi – e non solo per i cinque anni in Turchia. È una storia che fa scoprire la spiritualità e la vita germinate negli anni dopo il Concilio». Ci fa calare nella vita di «un uomo della Bibbia, che ha sempre tra le mani e nel cuore». Ci riconduce all’integralità del messaggio delle Beatitudini, ma anche alla responsabilità dell’essere nella Chiesa, in cui fare memoria di ciò che ci è stato trasmesso. «Mi ricordo spesso – scriveva don Andrea nel 2003 da Trabzon – del mio vecchio parroco che parlava della “liturgia della porta”: aprire, sorridere, salutare, rispondere. C’è un’altra cosa qui da fare: pregare, testimoniando silenziosamente la propria fede, invocare su di essi lo Spirito Santo, amarli dal profondo dell’anima aprendo con essi un canale segreto».

27 novembre 2006

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