Un bis tra luci e ombre per Silvio Muccino

“Un altro mondo” è il titolo della seconda pellicola del giovane regista, che veste anche i panni del protagonista: Andrea, giovane ricco e superficiale, che scopre di avere un fratellastro in Africa di Massimo Giraldi

In “Un altro mondo”, in questo periodo nelle sale, suo secondo film come protagonista e regista (dopo “Parlami d’amore”, 2008), Silvio Muccino si ritaglia il ruolo di Andrea.

Ventotto anni, una famiglia ricca alle spalle, un difficile rapporto con la madre, fredda e distante, il giovane riceve un giorno una lettera dal padre che gli chiede di raggiungerlo in Kenya, perché sente vicina la fine. Spinto soprattutto dal rancore di un distacco ventennale, Andrea arriva a Nairobi e scopre di avere un fratellastro, un bambino di otto anni di nome Charlie, che il genitore ha avuto da una donna del luogo poi deceduta. Andrea non fa in tempo a parlare con l’uomo, mentre apprende da una volontaria italiana che lavora nello slum di Kibera di essere per legge il tutore legale del bambino. Fallito dopo un lungo viaggio un tentativo di affidarlo al nonno che bruscamente disconosce anche l’esistenza della figlia, Andrea torna a Roma con Charlie.

In breve verifica che questa presenza lo obbliga a confrontarsi con un problema destinato a stravolgere gli equilibri della sua esistenza: la vita priva di responsabilità passata finora insieme alla sua ragazza Livia deve cedere il posto a scelte, decisioni, orari, parole e frasi mai pronunciate prima. Cominciare da zero una nuova esistenza, rivedere tutte le sicurezze fino a quel momento acquisite.

Dice Muccino che «il film è la storia di un viaggio in cui non cambiano solo i paesaggi all’interno dei quali si muovono gli attori, ma in cui si modificano anche gli “occhi” con cui i protagonisti vedono il mondo. Proprio per questo ho sentito l’esigenza di raccontare questo film come un graduale avvicinamento al cuore dei personaggi partendo dal loro aspetto più superficiale».

Bisogna dire subito che questo percorso dalla vacuità iniziale di Andrea al suo progressivo cambio di atteggiamento e di pensiero diventa scontato fin da poco dopo l’inizio. Si intuisce infatti con facilità che il bambino indifeso, sincero e solo farà breccia nel cuore dei due, Andrea e Livia, e li porterà alla decisione di tenerlo con sé. Tuttavia questa prevedibilità non sminuisce l’importanza dei temi affrontati. Il fatto è che la strada di Andrea dal rifiuto alla presa di coscienza inciampa in non pochi passaggi un po’ precostituiti, e un certo manierismo affiora in quella dimensione della ricchezza che non porta felicità o in quella instabilità affettiva, stereotipo imprescindibile della società italiana di oggi.

A un certo punto Andrea butta lì la frase «La vita fa schifo», che detta così senza alternativa rischia di suonare alquanto didascalica. Tuttavia la sostanza centrale del copione (l’aprirsi alle situazioni di sofferenza, il coraggio di assumersi responsabilità e di crescere come persona) resta ovviamente valida, attuale, coinvolgente. L’Africa come specchio di certa cattiva coscienza occidentale è tema di molti, appassionati dibattiti.

3 gennaio 2011

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