Umanesimo integrale nella «Caritas in veritate»

Intervista a Leonardo Becchetti, docente di Economia politica a Tor Vergata, sul testo di Benedetto XVI che sarà al centro dei tre appuntamenti organizzati nella basilica di San Giovanni di Angelo Zema

I fondamenti antropologici dell’enciclica, gli attori e le cause dello sviluppo umano integrale, il rapporto tra sviluppo economico e società civile: sono i temi al centro delle tre autorevoli riflessioni sulla Caritas in veritate, l’enciclica di Benedetto XVI datata 29 giugno 2009, che la cattedrale di Roma ospiterà nelle prossime settimane, a partire dall’8 febbraio. Un’iniziativa della diocesi di Roma pensata per proporre ai fedeli, ma non solo a loro, alcune chiavi di lettura di un documento ricco di spunti per la testimonianza quotidiana dei cristiani. Della Caritas in veritate torniamo a parlare con Leonardo Becchetti, docente di Economia politica a Tor Vergata e presidente del Comitato Etico della Banca Popolare Etica, tra i relatori dell’ultima edizione delle Settimane Sociali dei cattolici italiani.

Al professor Becchetti, che è anche presidente nazionale delle Comunità di Vita Cristiana (Cvx), chiediamo innanzitutto una parola sul cuore dell’enciclica, in cui appare evidente uno sguardo profondo sulla «verità dello sviluppo» e sulla sua «integralità».
A mio parere il cuore dell’enciclica, e la sua novità rispetto alla Popolorum progressio, dalla cui celebrazione a distanza di più di 40 anni prende le mosse, è l’aver colto come il dinamismo tra società civile, imprese con diverse finalità economiche e sociali, e istituzioni può essere la chiave del progresso vero verso un umanesimo integrale. Progresso verso il quale l’umanità si sta a fatica muovendo. In questo l’enciclica non fa che sistematizzare una serie di novità e di sviluppi sul campo promossi da cittadini responsabili e attori solidali nei quali i cristiani hanno giocato un ruolo fondamentale.

«Un cristianesimo di carità senza verità – scrive Benedetto XVI – può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali». In sostanza, nessuno spazio a «buonismi». Come poter ancorare a un fondamento solido l’esercizio della carità?
Nell’enciclica troviamo le chiavi per il superamento di un dualismo sterile dove l’ideale (i grandi principi declamati) non si incarna nel reale della prassi economica. La chiave dell’incarnazione è nel votare per i propri valori nella piazza del mercato attraverso le proprie scelte quotidiane, è nell’azione di imprese con obiettivi sociali che competono con quelle tradizionali e creano processi di ibridazione. Con una sintesi molto bella l’enciclica dice che l’economia civile (appunto l’insieme delle imprese con obiettivi non solo economici ma anche sociali e i cittadini responsabili) crea quella fiducia di cui il mercato ha bisogno per poter sopravvivere e che la semplice dialettica Stato-mercato rischia di deteriorare.

Agli attori e alle cause dello «sviluppo umano integrale» è dedicata una delle serate degli «Incontri in cattedrale». Quali sono le novità su questo fronte?
La riflessione dell’enciclica nasce dall’osservazione dei grandi progressi dell’economia civile, fino a poco tempo fa impensabili, in numerosi settori. Nel campo della finanza le istituzioni di micro finanza che si pongono come obiettivo l’inclusione dei non bancabili sono quasi 10.000 e si può dire che circa la metà di esse svolge la propria attività con finalità soprattutto sociali e di lotta alla povertà. Nel campo dei consumi responsabili i prodotti equosolidali che rispettano il lavoro e l’ambiente hanno conquistato importanti fette di mercato (25% delle banane nel Regno Unito) grazie al contagio che i pionieri hanno generato spingendo grandi attori del mercato (le catene della grande distribuzione sempre nel Regno Unito) a scegliere di vendere preferenzialmente quel tipo di prodotti. Ecco perché l’enciclica, avendo negli occhi alcuni di questi circuiti virtuosi di successo, parla di civilizzazione dell’economia, che può nascere dai nuovi attori economici e da nuovi ingredienti (responsabilità nei consumi e risparmi). Sottolineo che non si tratta soltanto di approcci utili per affrontare problemi di paesi lontani. Fatti come quelli di Rosarno ci insegnano che i problemi li abbiamo in casa. Ho scritto in un articolo recente che potrebbero nascere arance equosolidali anche da noi per stimolare cittadini responsabili e imprese a prendersi carico di questi problemi. Lo stesso ministro Zaia ha commentato come una delle strade possa essere quella della certificazione etica dei prodotti.

Alcune letture mediatiche dell’enciclica l’hanno trasformata in una lezione sulla crisi economica mondiale. Non le sembra riduttivo?
I fenomeni di cui parlo sopra, assieme a quelli del grande sviluppo delle imprese sociali che sopportano sulle proprie spalle gran parte del peso dell’erogazione dei servizi di welfare in Italia, in ottica di sussidiarietà, testimoniano che l’enciclica parla di una trasformazione che inizia da molto prima della crisi. Ciò che è interessante è che tale trasformazione prende le mosse dall’insostenibilità del modello di sviluppo tradizionale prevedendo in alcuni casi la crisi (è il caso delle società di rating sociale che sconsigliavano l’acquisto delle grandi banche d’affari americane per il problema dei mutui «subprime» e il trading in proprio dei derivati). Per questo motivo ciò che chi segue il settore va dicendo da tempo è oggi sulla bocca di molti.

Il terzo capitolo dell’enciclica si apre con questa frase: «La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono». Che effetto fa ad un economista l’irruzione del dono nel cuore dello sviluppo economico? Modificherà degli schemi di ragionamento?
I sociologi tradizionalmente separavano ambiti di rapporti primari (famiglia, comunità) dove valgono le regole del dono e della gratuità e ambiti di rapporti secondari (società, relazioni economiche) dove si impone solo l’autointeresse moderato dai contratti. In realtà la ricerca nostra e di altri negli ultimi decenni ha evidenziato come meccanismi di scambio di doni, di gratuità e di cooperazione sono essenziali per «lubrificare» le relazioni all’interno delle organizzazioni produttive. Questi comportamenti dunque non solo contribuiscono di per sé ad aumentare la realizzazione delle persone ma hanno anche l’effetto indiretto di migliorare le performance economiche. Per capire che si tratta di un pensiero che nasce da lontano basta ricordare che il premio Nobel George Akerlof deve una parte importante della sua fama ad un articolo sullo scambio di doni pubblicato nel lontano 1982.

2 febbraio 2010

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