Sos dall’India, «torturati per Cristo»

Il racconto di uno dei superstiti agli attacchi ai cattolici nell’Orissa e altre drammatiche testimonianze, nella veglia missionaria diocesana presieduta dal cardinale Vallini di Marta Rovagna

«Roma ha bisogno di uomini e donne che diventino annunciatori del Vangelo e che sentano sempre più forte l’esigenza e l’ansia di testimoniare come l’incontro con il Signore abbia loro cambiato completamente la vita». Con queste parole il cardinale vicario Agostino Vallini, che ieri sera (giovedì 16 ottobre) ha presieduto la veglia missionaria diocesana di preghiera nella basilica di San Giovanni in Laterano, ha spiegato la sua idea di missione in una città come Roma, «da sempre forte nel mondo – ha ricordato il porporato – con 150 sacerdoti inviati in tutto il pianeta per testimoniare e annunciare l’amore di Cristo».

L’urgenza dell’evangelizzazione ai popoli lontani è stata sottolineata dal passo paolino della Lettera ai Corinzi «Guai a me se non predicassi il Vangelo»: ed è proprio questa urgenza che ha portato, nel racconto dei missionari che hanno già speso la vita a servizio della Parola, alla persecuzione e al martirio. Drammatica la testimonianza letta da una ragazza indiana, di padre Tommaso Chellen, 55 anni, direttore del centro pastorale del Konjamendi nello Stato indiano di Orissa. Il religioso è uno dei superstiti dell’efferato attacco alla comunità cattolica e le sue parole sono risuonate molto forti: aggredito da un numeroso gruppo di indù con una suora è stato picchiato selvaggiamente con spranghe di ferro, calci e pugni e costretto ad assistere allo stupro della consacrata. Rifiutatosi di compiere lui stesso violenza sulla donna è stato nuovamente picchiato, deriso, insultato. Ma la scioccante testimonianza del presbitero si conclude così: «Una cosa ci era chiara però ed era l’unico balsamo per le nostre ferite: siamo stati perseguitati e torturati per Cristo».

E questa stessa spinta all’evangelizzazione e ad essere «servo di tutti per guadagnarne un maggior numero» aiuta oggi don Luigino Pizzo ad affrontare serenamente la prova della malattia. Don Pizzo, parroco della comunità di San Ponziano e protagonista di viaggi missionari in Bolivia, ora gravemente malato in ospedale, ha inviato la sua testimonianza tramite don Giampaolo Perugini, parroco di Santa Gemma Galgani: «Ho capito finalmente perché siamo tutti missionari- spiega nel messaggio inviato alla veglia – perché la missione è solo due cose: annunciare il vangelo di Gesù (anzi, cantarlo!) e dare la vita».

Ma la vita, ha ricordato il cardinale Vallini, il Signore non la chiede solo ai consacrati: la chiamata alla missione è per tutti, «laici, consacrati, giovani, anziani, colti, incolti – ha affermato -. Testimoniare che Dio ci ha cambiato la vita è possibile farlo non solo nelle parrocchie ma anche sul posto di lavoro, in casa, con gli amici, nelle università. Ognuno di noi è chiamato e provocato ad essere missionario laddove si trova a vivere, solo così Roma sarà sempre più missionaria».

A ricevere il mandato per partire, alla fine della celebrazione, sono stati, tra gli altri, una coppia di sposi della parrocchia di Santa Maria ai Monti, una laica di Santa Maria Stella Matutina, tre suore, inviate in Africa e in Brasile, e un giovane romano, padre Daniele Mazza, ordinato da Giovanni Paolo II nel 2004. Padre Mazza, membro del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), è partito da poche ore per la Thailandia. Ieri sera ha raccontato commosso la sua esperienza di missionario già da diacono e ha ricordato il motivo del suo andare: «Ecco, dunque, perché parto – ha annunciato all’assemblea – perché al di là di tutti i nostri calcoli è il Signore che continua a chiamare alcuni nella sua Chiesa a lasciare il proprio Paese e a mettersi in viaggio. Come per Abramo, come per san Paolo e per la maggior parte degli apostoli, il Signore ripete a qualcuno: “Vattene dal tuo Paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il Paese che io ti indicherò” (Gn 12,1)».

17 ottobre 2008

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