Solzenicyn e la “quasi” felicità

“Una giornata di Ivan Denisovič” e “La casa di Matrjona” costituiscono un potente dittico dell’autore russo: quando uscì il primo, Chruščëv volle conoscere personalmente l’autore di Paolo Pegoraro

Ci sono racconti che vanno miscelati con attenzione, come reattivi chimici, o sbattuti seccamente l’uno contro l’altro, come per accendere un fuoco. Ad esempio, due testi di Solzenicyn comparsi nel 1963: Una giornata di Ivan Denisovič e La casa di Matrjona. Quando uscì il primo, Anna Achmatova invitò i cittadini dell’Unione sovietica a impararlo a memoria e Nikita Chruščëv volle conoscere personalmente l’autore.

Il secondo vede escludere Solzenicyn dal premio indetto dalla Pravda a causa dell’«umanesimo di compensazione» e dell’«inutile senso di pietà» che ostacola «la battaglia per una moralità socialista». Presi singolarmente, Una giornata di Ivan Denisovič è un gelido referto sociologico, e La casa di Matrjona un apologo edificante, pure un poco moralistico. Insieme, sono un dittico potentissimo.

Una giornata di Ivan Denisovič ci trasporta nella vita quotidiana in un campo di lavoro staliniano. Il protagonista, Ivan detto Šuchov, sta terminando di scontare una pena ventennale. Il campo, però, lo ha totalmente piegato. La libertà non la agogna più: la teme. E per farcelo capire Solzenicyn, da vero maestro, non ha bisogno di fare grandi discorsi. Gli basta una sola parola nel punto giusto, pronta a piantarsi nel lettore come una spina nel piede. Prima di addormentarsi, Šuchov fa il bilancio della giornata in una sorta di esame di coscienza capovolto: ha schivato il carcere, non si è ammalato, ha rubacchiato del cibo in più, guadagnato qualcosa di contrabbando. «Era trascorsa una giornata non offuscata da nulla, una giornata quasi felice». Quasi. In quelle cinque lettere è condensata la più incolmabile delle distanze, quella della rassegnazione: è la rinuncia definitiva ad ambire una felicità non d’accatto.

Al centro del secondo racconto – La casa di Matrjona – è la vecchia Matrjona Vasil’evna. Una come tante: sola, ignorante, superstiziosa, ben più che povera. Non alleva neppure, come i suoi compaesani, «un porcellino avido, che al mondo altro non riconosce se non il cibo». Conduce una vita di stenti, nella sua isba ai margini del villaggio. Ma inspiegabilmente è disposta a fare un favore a tutti, siano pure approfittatori ed ingrati, senza mai trarne guadagno. Anzi. Matrjona non finirà bene. Proprio la sua misteriosa generosità la consegnerà a infinite umiliazioni, poi a morte violenta. Unica consolazione: il suo corpo conserverà sempre «il volto buono chi è in pace con la propria coscienza», un volto «intatto, tranquillo, più vivo che morto».

Šuchov e Matrjona conducono esistenze miserabili, massacrate dal lavoro, totalmente schiacciate da un sistema disumano. Vite che non possono migliorare. Che saranno sempre insultate dal torto. La sola differenza, se c’è, è tutta in quel «quasi» – in quella felicità mancata – e nel volto sereno di Matrjona. Šuchov vive all’insegna della fuga dalla sofferenza, Matrjona del suo accoglimento. Šuchov non ricorda neppure se fosse innocente o meno, Matrjona trascorre ogni momento nel ricordo e nell’espiazione di una presunta colpa. Šuchov sopravvive, a costo di non sapere più perché. Matrjona riconosce qualcosa di più importante della vita stessa. Sconta l’ingiustizia altrui sulla propria pelle, e senza che questo scuota alcuno. Un’esistenza sprecata. Eppure, tra le due, quale vale la pena di essere vissuta?

La citazione
«Mentre stava pigliando sonno, Šuchov si sentiva del tutto soddisfatto. la giornata era stata parecchio fortunata: non l’avevano messo in cella di punizione, la squadra non era stata mandata a lavorare al “villaggio socialista”, aveva rubato una scodella di cascia d’avena a pranzo, il caposquadra aveva “chiuso la percentuale” bene, il lavoro di muratura era stato per lui un piacere, non gli avevano trovato addosso il pezzo di sega, aveva guadagnato qualcosa da Tsezar, la sera, e aveva comperato del tabacco. E non si era ammalato, aveva resistito.
Era trascorsa una giornata non offuscata da nulla, una giornata quasi felice».

Aleksandr Solzenicyn, Una giornata di Ivan Denisovič – La casa di Matrjona – Alla stazione, Einaudi, pp. 303, 12 euro.

4 dicembre 2012

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