Solitudine sconfitta e dolore accolto: la luce di Betlemme

di Matteo Zuppi

Benedetto XVI, all’inizio dell’Avvento, aveva ricordato come questo periodo aiuta tutti a chiedersi: «Io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme?». Ecco, cosa attende Roma? La Chiesa, madre di tutti, premurosa per quel «territorio» che è l’intera città, il corpo nel quale vive e del quale deve essere l’anima, scruta le attese più profonde degli uomini, le fa sue, le difende dalla disillusione. La Chiesa vede, come ha detto il Papa, la città «non come un agglomerato anonimo, ma come una costellazione dove Dio conosce tutti personalmente per nome, ad uno ad uno, e ci chiama a risplendere della sua luce». E questa passione deve bruciare nel cuore di tutti i credenti e farsi amicizia, accoglienza, fraternità!

Facciamo fatica a trovare una risposta alle attese di una città così individualizzata, popolata da tanti uomini ridotti a isole, a spettatori, convinti che i personali atteggiamenti non abbiano conseguenze, nel bene come nel male. Una città indurita, resa arida da tanto egocentrismo e narcisismo; teatro di episodi di violenze ordinarie frutto dell’ira e dell’abitudine all’aggressività, di tanta solitudine che accentua il disagio psichico, epifanie dell’incapacità allo stare insieme e di tanto disinteresse. La paura rende cupi, duri fuori e fragili dentro; non fa sorridere; illude di trovare sicurezza perché con le porte chiuse o rivestiti di lusso, quando in realtà siamo solo più smarriti. Natale è giorno di poveri uomini, come siamo quando ci fermiamo e non ci nascondiamo dietro le apparenze!

Non è l’ennesima emozione virtuale, cangiante come quelle informatiche, sempre possibili, che possiamo cancellare a piacimento per non faticare. Natale non è un narcotico, come quelli che gli uomini cercano per essere quello che non sono. Non è una pausa spirituale in un mondo povero di sentimenti e frastornato dalle sensazioni. Anzi. Natale ci fa scendere nell’abisso della vita vera. Ci rende bambini perché penetra le complicazioni inutili e ci aiuta a ritrovare l’essenziale. È speranza che libera dalla disillusione. Natale riaccende le attese più profonde. È l’invisibile che si rende visibile e che ci aiuta a riconoscere i tanti, troppi, «invisibili» della nostra città. Così Roma è Betlemme! Tutto può iniziare proprio da quel luogo di periferia, fuori dai salotti e dai calcoli dei forti. Farlo può apparire all’inizio faticoso, per un cuore pieno di paure, che si abitua al piccolo o a pensarsi al centro di tutto. Bisogna andare per strada e in periferia per vedere gli «invisibili» di Betlemme, i fratelli più piccoli di Gesù e trovare con loro la luce umana e divina del Natale.

Le loro attese hanno fretta. Chiedono di uscire dalle inadempienze, dai rimandi, dalla retorica vuota, dalle promesse non mantenute, dal piegare tutto all’interesse personale, logica miope che tutti impoverisce. È attesa di un posto. A Roma sono 6.000 le persone senza dimora. Di questi 2.300 dormono per strada. Sono circa mille le persone che vivono in insediamenti spontanei in periferia. È attesa di casa. La nostra città è quella con il maggior numero di sfratti, soprattutto per morosità. È attesa di sicurezza: a Roma vi è il più alto numero di cittadini in «sofferenza bancaria». E sappiamo come così fiorisce la schiavitù dell’usura. È attesa di futuro, come per i tanti stranieri che sono una straordinaria ricchezza, ci aiutano a costruire il nostro avvenire e non a ridurci ad amministratori del presente. È attesa di un lavoro: a Roma nel solo 2009, sono 220mila i contratti a tempo determinato andati in scadenza. È attesa di protezione e di vita per gli anziani ultra 65enni, il 20% della popolazione intera, con una scarsissima possibilità di essere aiutati a casa. Sono 35mila quelli totalmente isolati. È attesa quella di tanti rom, di un posto dove fare studiare i propri figli e costruirsi un futuro, altrimenti sempre negato.

Ecco dove possiamo vedere la stessa luce che illuminò Betlemme: in una solitudine sconfitta, nella sofferenza che s’incontra con la compagnia, nel posto preparato per chi non lo ha, nel pensare una città a misura di uomo. Questo è il Natale possibile per tutti. Riconosceremo in questa debolezza amata, come a Greccio, il volto più umano e divino, la manifestazione commovente di un Dio che viene per portare a compimento le attese degli uomini. Roma e i romani hanno bisogno di questa luce.

23 dicembre 2010

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