Scout, l’accoglienza continua in ateneo

Festeggiati con una tavola rotonda i 10 anni di presenza degli scout presso la cappella dell’università La Sapienza di Rossella Rizzi

“Una Sapienza in evoluzione” il tema della tavola rotonda tenutasi sabato presso la sala studio della cappella dell’università La Sapienza di Roma. A confrontarsi sui 10 anni di scoutismo universitario il capo scout Agesci, Eugenio Garavini e il pro-rettore per gli studenti dell’ateneo, Pietro Lucisano. Ha introdotto il discorso il cappellano padre Vincenzo D’Adamo, accerchiato dal gruppo degli scout universitari. È intervenuto anche monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della pastorale universitaria di Roma che, evidenziando il carattere educativo dello scoutismo, ha auspicato la creazione di altri gruppi scout nelle maggiori cappellanie universitarie della Capitale.

“10 anni di servizio, 10 anni di strada”, commenta l’opuscolo in distribuzione. Dal 1995 gli scout universitari sono diventati un punto di riferimento, soprattutto per quella parte di studenti fuori sede che intendono proseguire un cammino scout e si scontrano con la difficoltà di farlo nei gruppi di provenienza o nei gruppi romani. Perciò «uno degli elementi caratterizzanti lo scoutismo universitario – spiega Eugenio Garavini – è il senso del lavoro finito. L’associazione completa un lavoro iniziato altrove con l’obiettivo di aiutare i giovani a concludere un’esperienza che altrimenti andrebbe persa». Il progetto formativo si concentra su una serie di attività che puntano alla “partenza”, momento conclusivo del cammino. Essenziale far acquisire al ragazzo «una capacità critica nel vivere in maniera responsabile i problemi della comunità che lo circondano, pur non essendone toccato direttamente», conclude il capo scout.

Gli scout universitari operano dunque all’interno della cappella dell’ateneo e «sono parte – sottolinea padre D’Adamo – del progetto di questa realtà, che riproduce l’intera vita della comunità ecclesiale all’interno dell’università. Movimenti come quello scout – continua il cappellano – bussano alla nostra porta e si propongono per offrire agli studenti un particolare cammino di fede fondato su valori positivi». La metodologia educativa scout prevede infatti uscite, campi estivi, momenti di discussione critica detti “capitoli”, associati alla possibilità di maturare un’esperienza di servizio all’interno del territorio stesso verso cui ci si sente parte. «L’obiettivo – indica il pro-rettore – è cercare di fare in modo che la scelta di essere studente, o meglio studioso, sia vissuta come impegno profondo e non come stato di passaggio verso qualcosa che non è chiaro».

La tavola rotonda ha voluto così ripercorrere le grandi tappe dell’esperienza scout in relazione all’università e, soprattutto, agli studenti fuori sede. Il modo di vivere da testimoni all’interno dell’ambiente accademico, sviluppando un forte senso critico, è un modo per supportare l’università ed essere supportati da questa. La capacità di accogliere anche chi scout non è, resta forse, come emerge dai commenti degli studenti-scout presenti, uno dei valori più apprezzati dello scoutismo universitario.

27 novembre 2006

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