Santa Maria Madre della Provvidenza

Evangelizzazione l’obiettivo primario nella comunità di Monteverde. L’impegno nell’adorazione eucaristica perpetua di Francesco Lalli

«Una parrocchia che trova se stessa al di fuori di se stessa». La frase di Giovanni Paolo II ben sintetizza il tratto saliente della comunità di Santa Maria Madre della Provvidenza a Monteverde, sorta 70 anni fa come parrocchia delle case popolari inaugurate nel 1937 e che conta oggi nel suo territorio 3.700 famiglie. «La parola che riassume il nostro impegno – esordisce il parroco don Gian Matteo Botto, che è qui da più di 15 anni – in particolare dopo l’impulso datoci dalla missione cittadina del 1998, è evangelizzare, cioè avere come orizzonte quello della missione». «Si tratta – continua don Gian Matteo – di guardare non a quanti ci sono, ma a quanti mancano ancora».

Un’esperienza viva di Cristo risorto, che è il vero cuore pulsante da cui si irradiano le numerose attività parrocchiali, a cominciare da “Worklink”. «La nostra mission associativa – spiega Cristiano Sardegna che è il coordinatore dell’iniziativa nata nel 1998 – è dare speranza con la formazione, uscire dal guscio della pastorale ordinaria e puntare sulla strada poco battuta di una pastorale del lavoro». Di qui la caratteristica dell’associazione che eroga corsi di formazione e orientamento professionali attraverso volontari che mettono a disposizione la loro esperienza lavorativa, destinati a giovani, ma anche ad adulti che hanno perso il lavoro e a cittadini stranieri con difficoltà d’impiego.

Un modo efficace per ridare fiducia a chi, da troppo tempo, si è sentito “fuori-mercato”: «Il nostro progetto vuole far ripartire la persona – aggiunge Cristiano – e per questo a “Worklink” è stato associato anche uno sportello informativo aperto il sabato mattina». Un lavoro di ricostruzione di capacità relazionali che ha trovato in Rwanda una forma di collaborazione anche con l’associazione “Amici dei Popoli”, attraverso la realizzazione di microprogetti di sviluppo sanitario, agricolo e scolastico.

Ancor più nel solco dell’evangelizzazione, poi, si collocano altre due iniziative, anche queste sorte alla fine degli anni Novanta, come le “Cellule parrocchiali” e la “Scuola di Evangelizzazione”. «Le cellule – spiega la signora Adriana Bizzari che insieme al marito Giustino sono stati tra i primi ad aderire al progetto – danno vita ad incontri che si svolgono invitando amici e conoscenti a partecipare ad uno degli incontri settimanali nelle case. All’interno c’è un leader, come nel mio caso, che coordina l’iniziativa articolata in sette momenti: preghiera di lode, condivisione, insegnamento che il sacerdote prepara settimanalmente, approfondimento, raccolta di un piccolo contributo all’evangelizzazione della parrocchia, preghiera d’intercessione e invocazione allo Spirito Santo».

«La forza della cellula – prosegue il signor Giustino – sta nel suo carattere inclusivo, nel senso di accoglienza che trasmette, un approccio di prossimità che guarda al popolo di Dio e invita ad aprirsi agli altri e all’altro». Forza che è testimoniata anche dalle cifre: dalle 5 cellule degli inizi alle attuali 30 che contano circa 250 persone coinvolte. Un riscontro non minore ha avuto la “Scuola di evangelizzazione” che fino ad ora ha organizzato ben 42 corsi con 1.300 presenze: «La nostra esperienza è stata ripresa dalla Scuola di Sant’Andrea di Guadalajara, in Messico» spiega Pier Paolo, responsabile dell’équipe che anima l’iniziativa e che talvolta coinvolge anche parrocchie al di fuori del tessuto cittadino. «Il nostro scopo – continua – non è solo quello di evangelizzare, ma di formare anche nuovi evangelizzatori attraverso cinque o sei incontri all’anno con circa 70-80 persone». I corsi vanno dagli aspetti legati al matrimonio e alla coppia, all’educazione dei figli, fino a quelli biblici e di spiritualità pura.

«Infine – riprende il parroco – a partire dall’Anno dell’Eucarestia, abbiamo cominciato con trepidazione la nostra esperienza di adorazione eucaristica perpetua. La comunione con il Signore è infatti l’architrave su cui poggia tutta l’evangelizzazione, una gioia che discende dalla nostra comunione con Dio». La presenza degli adoratori, le eventuali sostituzioni, l’apertura notturna della chiesa «sono coordinate da 24 persone», spiega Annamaria Duranti, che coordina questi generosi volontari «divisi in responsabili di fascia e responsabili di ora. Coloro che prestano poi materialmente il loro servizio sono circa 270 fedeli, che si alternano a turni di sessanta minuti. In questo modo la chiesa è sempre accessibile». «Tutto ciò – continua – facilita chi vuole pregare anche senza fare adorazione, non avendo la possibilità di farlo durante il normale orario di apertura». Uno spazio nella città dove fare silenzio, imparare l’arte della preghiera e costruire, come è successo, anche un nuovo rapporto con i poveri.

29 dicembre 2006

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