«Ru486, guerra totale verso l’embrione»

La bioeticista Maria Luisa Di Pietro, presidente di Scienza & Vita, denuncia: mette a rischio la salute della donna e implica una sorta di «privatizzazione dell’aborto» di Federica Cifelli

Era atteso in questi giorni il via libero definitivo dell’Agenzia italiana del farmaco alla pillola abortiva Ru486. Martedì scorso invece un comunicato stampa dell’Agenzia informava che «non è a tutt’oggi ipotizzabile alcuna data per la conclusione dell’iter registrativo». I tempi slittano in avanti dunque, «ma solo per problemi procedurali», commenta la bioeticista Maria Luisa Di Pietro, presidente insieme a Bruno Dallapiccola dell’associazione Scienza & Vita. «La speranza – continua – è quella di riuscire a bloccare l’inserimento di questo farmaco in Italia, dove peraltro è già avviata la sperimentazione in alcune regioni».

Va in questa direzione anche la mozione trasversale firmata da circa 40 deputati per sospenderne la procedura di autorizzazione della registrazione, basata sul rispetto del principio di precauzione e della legge 194, che vincola l’interruzione volontaria della gravidanza all’interno delle strutture ospedaliere. Così come l’appello lanciato dal quotidiano Il Foglio, firmato anche dalla presidente di Scienza & Vita, che definisce la Ru486 «un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica». «La questione centrale – osserva Di Pietro – è che sempre di aborto si tratta. E l’obiettivo dovrebbe essere prevenirlo, non trovare strade “facili” per realizzarlo». Minimizzandolo, deresponsabilizzando i medici «che invece avrebbero anche il compito della prevenzione» e facendo ricadere la responsabilità di ogni scelta solo e soltanto sulla donna, «portata a consumare l’aborto in solitudine».

La pillola infatti, che per essere efficace va assunta entro 49 giorni dalla fecondazione dell’ovulo, blocca l’ormone protettivo della gravidanza, favorendo il distacco dell’endometrio e quindi dell’embrione. Poiché però con la sola assunzione della Ru486 la finalità abortiva non è raggiunta al cento per cento, i protocolli per l’utilizzo prevedono la somministrazione congiunta entro le 48 ore successive di una prostaglandina, che provoca le contrazioni necessarie a favorire l’eliminazione dell’embrione. Anche così tuttavia rimane un 5 per cento dei casi nei quali l’aborto non si verifica, e si procede allora con il sistema chirurgico. «È una guerra totale verso l’embrione», che mette a rischio la salute stessa della donna, esponendola a un rischio di mortalità «dieci volte superiore rispetto a quello legato all’aborto chirurgico nella stessa epoca di gravidanza». Non una «pillola magica» che risolve il fastidio di una gravidanza indesiderata, dunque, ma una sorta di «privatizzazione dell’aborto», afferma ancora Di Pietro, ridotto a «un fatto di donne».

Se è vero infatti che la somministrazione della Ru486 avviene all’interno degli ospedali, in ottemperanza alla legge 194, non è certo sapere quando l’aborto di fatto avverrà e quindi dopo l’assunzione della pillola le donne vengono rimandate a casa, ad attenderne gli affetti a domicilio, per tornare poi per l’assunzione del secondo farmaco. Questo ovviamente fa aumentare i rischi: «Non è possibile stabilire un prima e un dopo rispetto all’aborto chimico, che viene quindi riportato a una sorta di clandestinità riconosciuta dalla legge».

23 dicembre 2008

Potrebbe piacerti anche