Roberto Fabbri e i suoi racconti “senza parole”

A colloquio con il chitarrista romano noto per la sua attività concertistica e didattica. «Il mio è stato un percorso tortuoso, ma oramai spero che i tempi siano maturi» di Concita De Simone

Dopo il successo del tutto esaurito all’Auditorium lo scorso 7 gennaio, sicuramente Roberto Fabbri tornerà ad esibirsi a Roma, la sua città, magari tra i vari concerti e masterclasses che tiene in tutto il mondo. Nell’attesa, vale la pena conoscere meglio questo virtuoso chitarrista e compositore romano, classe 1964, che è riuscito a far conoscere, apprezzare e utilizzare la propria metodologia chitarristica a livello mondiale, in particolare in Spagna, dove nel 2010 ha ricevuto il prestigioso premio “Socio De Honor” al “Festival Internacional Andrés Segovia” di Madrid, di cui è presidente onorario il principe Felipe de Asturias, che gli ha commissionato un concerto per chitarra e orchestra per l’edizione che si terrà nell’ottobre 2012 e che sarà dedicata alle celebrazioni dei 25 anni dalla scomparsa del grande chitarrista spagnolo Segovia. Un bel riconoscimento per un chitarrista italiano.

Dopo aver studiato al Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma, ha iniziato la sua attività concertistica e didattica impegnandosi anche in una notevole attività editoriale, collaborando con numerose case editrici. Le sue oltre 30 pubblicazioni per chitarra sono tradotte in cinque lingue, compreso il cinese, e distribuite in tutto il mondo dalla prestigiosa casa editrice italiana Carisch, che nel 2010 gli ha assegnato il premio Speciale Didattica 2010 per le oltre 150.000 copie vendute dei suoi libri e, si badi bene, non sono romanzi, ma libri tecnici.

Il suo ultimo lavoro discografico invece, si chiama “No words”, un “racconto senza parole”, che passa semplicemente attraverso il suono delle corde della chitarra di Fabbri, che lui riesce ad “animare” in maniera prodigiosa. L’album contiene 12 composizioni inedite, dieci per chitarra sola e due con il suo quartetto di chitarre, che testimoniano il talento artistico di Fabbri e lo confermano a livello internazionale come uno dei maggiori esponenti della chitarra classica contemporanea. Tema centrale è l’amore nei suoi molteplici aspetti. I brani sono caratterizzati da accattivanti melodie e dai suoni delicati, sensuali, ma anche impetuosi, della chitarra classica, che hanno la capacità di trasportare chi ascolta in un coinvolgente viaggio “sensoriale” nell’universo musicale del musicista. E sembra quasi di potersi immaginare le storie che racconta con la sua chitarra, come ci confida lui stesso nell’intervista che gli abbiamo fatto.

Come si fa a raccontare senza parole?
È difficile, certo, ma prendo spunto dal mondo che mi circonda, dai luoghi, dalle letture. Quando mi trovo in situazioni particolari, che destano la mia attenzione, queste mi scaturiscono delle immagini, che io poi trasformo in musica. Per esempio, da lettura drammatica nascerà una musica dai toni dolorosi. Nel mio precedente album, “Beyond”, c’era un brano intitolato “La passeggiata” scaturito dalla lettura di un racconto di Federico Moccia, ambientato sul lungomare di Ostia, in cui l’autore immagina di incontrare il padre scomparso e di dirgli tutte le cose che non gli era mai riuscito a dire quando era ancora in vita. Con la musica ho cercato di rievocare questa storia e Moccia, dopo sei mesi dall’uscita dell’album mi ha chiamato per ringraziarmi e dirmi che ascoltando il brano si era ritrovato in quei luoghi.

Roma è la sua città, eppure quella all’Auditorium è una tappa arrivata dopo i consensi all’estero
Nessuno è profeta in patria, si sa! Il mio è stato un percorso tortuoso, magari, però il successo di quel concerto mi fa sperare che ormai i tempi siano maturi.

Perché secondo lei in Italia la chitarra classica ha un pubblico di nicchia?
Perché è rappresentato da coloro che la conoscono o che vi ci sono avvicinati. Non è uno strumento proposto dai media e il mio lavoro è proprio di portarlo tra la gente comune.

Ci spiega il metodo Fabbri per chitarra, utilizzato persino in Cina?
È un criterio complesso che nasce da un’idea semplice. Quando l’ho scritto, nel 2000, mi sono reso conto che l’approccio alla chitarra classica era insegnato indistintamente a bambini di 6 anni o ad adulti di 30. Ho quindi cercato di diversificare l’insegnamento a seconda delle fasce d’età, rendendolo più fruibile anche rispetto al tradizionale repertorio proposto, inserendo brani più moderni, che fossero maggiormente parte del vissuto degli allievi.

Lei è anche fondatore e direttore artistico dell’Accademia “Novamusica & Arte” di Roma: chi sono i suoi allievi?
Ce ne sono di tutte le età. Si va dalla propedeutica intorno ai 4 o 5 anni, fino ai pensionati che hanno deciso di imparare lo strumento. Ci sono anche degli ottantenni, che dimostrano che non è mai troppo tardi. Certo, se uno nella vita vuole fare il concertista, deve iniziare presto, ma se vuole imparare solo per diletto, per divertimento, c’è sempre tempo. Basta avere passione per la musica.

Pensa che la sua esperienza sia un segnale nel mondo discografico e musicale italiano?
Credo che gli italiani stiano tornando ad apprezzare la musica strumentale. Fino ad ora il pianoforte l’ha fatta da padrone, ora io potrei iniziare a far tornare in auge la chitarra classica. Ma attenzione, bisogna studiare molto, non ci si può improvvisare. Ci sono gli autodidatti, ma per raggiungere certi risultati non si può prescindere dallo studio.

13 gennaio 2012

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