Rinnovata la cappella del Vicariato, scrigno eucaristico

L’altare è stato benedetto dal cardinale Vallini: «È il cuore della nostra casa, uno spazio nel quale vogliamo quotidianamente passare». Nei mosaici di don Arabia tradizione e modernità di Giulia Rocchi

Dietro l’altare un tralcio di vite e un fascio di spighe. In basso due pavoni azzurri, lo sguardo rivolto al tabernacolo dorato, composto da cinque cerchi. Sulla sede episcopale l’immagine di una rete e nelle nicchie laterali quelle di Maria Salus Populi Romani e di Cristo Pantocratore. Venti posti a sedere, illuminazione diffusa, vetrate colorate sul soffitto. Mosaici sui toni dell’ocra, colori morbidi, che avvolgono come in un abbraccio chi si ferma in preghiera. Si presenta così la rinnovata Cappella del Vicariato, dopo il restauro durato un anno e mezzo guidato da don Giampiero Arabia, parroco artista che ha già realizzato 82 chiese in Italia e all’estero.

L’altare, in marmo, è stato benedetto oggi, 29 maggio, dal cardinale vicario Agostino Vallini, in una Messa concelebrata da monsignor Paolo Mancini, parroco della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo e già segretario generale del Vicariato, e da don Arabia. «La cappella è il cuore della nostra casa – ha commentato il cardinale Vallini -, carica di storia, di vita e di fede. È uno spazio di preghiera bello, attraente, nel quale vogliamo quotidianamente passare, anche solo per dire al Signore: grazie». Il cardinale ha poi ricordato il lungo percorso che ha portato alla realizzazione della nuova Cappella, a partire da quando, appena nominato cardinale vicario da Papa Benedetto XVI, vide per la prima volta il vecchio luogo di culto: «Ne rimasi impressionato – racconta con un sorriso – perché era proprio brutta». Il porporato ha quindi ringraziato quanti hanno permesso i lavori, dal Governatorato della Città del Vaticano a don Arabia, «che qui ha messo il cuore, la mente e anche tanti soldi».

La parete dietro l’altare, gli arredi liturgici e le nicchie laterali – una superficie di oltre 40 metri quadri – sono interamente decorate a mosaico, per un totale di «oltre 320mila tessere delle dimensioni di un centimetro per un centimetro e mezzo, ma per certi dettagli ho usato il micromosaico», ha spiegato il sacerdote, classe 1965, una laurea in architettura, alla guida della parrocchia di Nostra Signora del Suffragio e Sant’Agostino di Canterbury, a Torrespaccata. «La simbologia è tutta eucaristica e cristocentrica – ha sottolineato -, con un recupero dei simbolo della tradizione. Dai frutti della terra, come il grano e la vita, alla resurrezione rappresentata dai pavoni. Il tabernacolo ha una forma la cui matrice sono i pavimenti cosmateschi, con cinque cerchi: quello centrale è tangente ad altri quattro che simboleggiano gli evangelisti, ma anche l’umanità intera, i quattro punti cardinali, perché l’annuncio del Vangelo è rivolto a tutto il mondo. A sua volta il cerchio centrale germina una croce, nel cui fulcro c’è il santo volto di Cristo».

La circonferenza ritorna un po’ in tutti i mosaici della Cappella: «I cerchi colorati sono elementi ricavati dalla biologia, simbolo dell’amore di Dio che dona la vita e che benedice costantemente l’uomo». L’idea a cui rimandano i mosaici di don Giampiero è quella di «annullare lo spazio geometricamente costruito e andare oltre, e questa è una conquista dell’arte contemporanea». I simboli della tradizione, infatti, sono qui inseriti in un contesto moderno, con uno sfondo di forme geometriche frastagliate, che si intersecano una nell’altra e si sovrappongono. «Il luogo della liturgia rappresenta uno spazio più grande – ha osservato don Arabia – perché di fatto il mondo intero appartiene a Dio. Per questo io credo che per realizzare arte sacra si debba necessariamente essere credenti, altrimenti non si riesce a farlo bene». Giovedì è stato benedetto anche un busto monumentale di San Giovanni Paolo II, posto all’esterno della Cappella, opera di Anna Gulak, artista polacca.

29 maggio 2014

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