Recuperare l’economia del dono

Guardare alla storia dei monasteri può essere un’opportunità importante per la società. L’elezione di Papa Francesco aiuta a mettere in primo piano la sobrietà e a ripensare il rapporto con il denaro di Fabio Salviato

Riprendere e attualizzare le esperienze dei monasteri può essere una opportunità importante per il futuro della nostra società. Vale infatti la pena ricordare come erano organizzati i monasteri e quali benefici hanno apportato alla società fin dai primi tempi della loro costituzione.

Dal punto di vista economico e produttivo i monasteri erano strutture tendenzialmente autosufficienti. Le competenze professionali dei monaci e dei loro coadiutori laici erano variegate ed in grado non solo di assicurare la soddisfazione dei bisogni interni, ma anche di offrire beni e servizi ad una popolazione esterna limitrofa, di soddisfare le necessità contingenti di viandanti e pellegrini, di provvedere all’ospitalità ed alla cura di alcuni malati.

La base della loro autosufficienza economica e produttiva era costituita dall’agricoltura praticata nei terreni circostanti il monastero e dalla trasformazione dei prodotti agricoli sia per uso alimentare che per uso terapeutico. Si trattava in sostanza di strutture economiche finalizzate al soddisfacimento dei bisogni interni di chi viveva nel monastero, ma aperta anche nei confronti dell’esterno.

In un contesto di quel tipo funzionava molto bene l’economia del dono: spesso venivano offerti a chi necessitava beni e servizi, senza avere un’attesa di ritorno economico. In questa fase l’aspetto relazionale ed il legame sociale diventavano importanti, anzi si rafforzavano, perché la comunità cercava di offrire una risposta ai bisogni.

Oggi diventa importante riprendere queste esperienze, attualizzarle, anche alla luce delle nuove tecnologie, dell’utilizzo delle energie rinnovabili, e insieme di una costante e continua richiesta di spiritualità, del desiderio di comprendere che il benessere non è solamente la continua e costante ricerca di beni e prodotti, ma che anche l’ascolto della persona, il silenzio, la contemplazione, la preghiera rappresentano una dimensione sempre più sentita.

È in questa direzione che va salutata con vivo interesse l’elezione del nuovo vescovo di Roma, Francesco, che fin dai suoi primi passi si ripropone di recuperare quel rapporto con le radici sobrie e spirituali della Chiesa. È importante e credo urgente in questa fase affrontare alcune problematiche legate all’utilizzo del denaro, necessario al giorno d’oggi per la realizzazione di molti progetti in tutto il mondo.

Il processo di finanziarizzazione, oramai completamente deregolamentato, ha bisogno di essere declinato attraverso prassi, processi e regole ben chiare e definite. Possiamo attingere molto dall’esperienza della finanza etica, dove trasparenza, tracciabilità del denaro, coinvolgimento dei portatori di interesse rappresentano riferimenti importanti per la soluzione di tematiche relative alla gestione responsabile e trasparente del denaro.

Immaginare una regola, o con il tempo addirittura un’enciclica, sul corretto utilizzo del denaro, in un sistema economico che ha fatto spesso del denaro il proprio “ dio”, potrebbe rappresentare un segnale forte e chiaro, verso quel ritorno alla solidarietà e alla sobrietà, così importanti, se non fondamentali, nella costruzione del nuovo pensiero economico che avanza. E in tutto questo, recuperare il concetto economico dei monasteri del terzo millennio potrebbe permetterci di ritrovare quel senso di felicità e di autenticità di cui il nostro mondo necessita.

Quel senso di fiducia, che rappresenta una materia prima fondamentale con il quale “impastiamo” la nostra vita, è un segnale che il nostro vescovo Francesco saprà sicuramente cogliere per guidarci verso quella meta lontana che tutti noi un giorno dovremo raggiungere, con la speranza di aver dato un contributo per la costruzione di un mondo più giusto.

19 marzo 2013

Potrebbe piacerti anche