Quando i figli non escono di casa
La sindrome del nido vuoto al tempo della crisi: spesso il processo di separazione tarda, non avviene o, al contrario, si torna a vivere con la famiglia d’origine. Occorre stabilire insieme nuove regole di Angela Dassisti
Negli ultimi anni stiamo vivendo in Europa e in tutti i Paesi con una economia globale allargata una strana recessione economica per la quale non sembrano esistere antidoti efficaci e duraturi. L’incertezza dell’economia mondiale si ripercuote sulla popolazione, sia attraverso una tangibile diminuzione di ricchezza e di potenziale d’acquisto delle famiglie, sia attraverso una modificazione delle abitudini sociali che hanno regolato fino ad ora i rapporti familiari. Da tempo i cambiamenti nell’organizzazione familiare ed il costituirsi di nuclei assolutamente nuovi hanno portato trasformazioni nelle relazioni e nella vita quotidiana. Si trattava probabilmente di spinte sociali, che provenivano dall’interno, da un’insicurezza relazionale e personale degli individui e non da necessità economiche come sembra avvenire in questi ultimi tempi. La perdita del posto di lavoro dei genitori e l’incertezza di un futuro economico sta minando la crescita dei ragazzi e sembra essere alla base di un cambiamento sociale molto particolare: i figli non escono più di casa.
Arrivati alla mezza età uomini e donne si trovano generalmente a vivere delle modificazioni sostanziali della propria vita, come l’avevano intesa e vissuta fino a quel momento: si affacciano gli acciacchi del tempo e le malattie dovute all’età, si comincia a fare i conti con il proprio invecchiamento, si avvicina l’età pensionabile e i figli generalmente vanno via di casa per costituire un nuovo nucleo familiare o per trovare lavoro in altri luoghi. Lo stato emotivo di tristezza e maggiore vulnerabilità dovuto alla simultaneità di cambiamenti fisici, sociali e familiari è conosciuto con il nome di Sindrome del nido vuoto. Essa coincide solitamente con la separazione dai figli e con il senso di vuoto che i genitori, soprattutto le madri, provano quando la prole cresce e smembra il nucleo familiare d’origine per crearne uno proprio e dare vita a una nuova famiglia. Il cambiamento apportato dall’assenza di un membro importante del nucleo determina normalmente degli squilibri e questo processo può risultare molto faticoso, soprattutto quando i genitori perdono contemporaneamente il proprio ruolo lavorativo e sociale senza riuscire a riappropriarsi della propria vita, che purtroppo risulta eccessivamente “vuota”.
Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, si sta assistendo al fenomeno inverso; il naturale processo di separazione e di abbandono del nido materno tarda ad arrivare, sempre più spesso non avviene o peggio si verifica l’evento contrario: i figli tornano in casa dei genitori. La percentuale di figli che risultano vivere con la propria famiglia d’origine sta crescendo; numerosi sono i giovani che non hanno alcuna spinta a separarsi dai propri genitori, poiché non riescono ad affrontare il sacrificio, la responsabilità e la maggiore autonomia di una vita auto-sufficiente. D’altra parte, però, in questa popolazione di figli ci sono anche coloro che vivono una grande incertezza lavorativa, economica o che tornano a casa dopo tentativi mal riusciti o difficoltà finanziarie.
Il ritorno purtroppo non viene vissuto come quello del “figliol prodigo” e rappresenta una sconfitta per i figli e un disagio per i genitori. Questi, infatti, si trovano stretti tra il dispiacere per il fallimento e la difficoltà di riorganizzare le proprie abitudini intorno ad un nucleo che si ricostituisce, spesso non integralmente ma con l’ingresso di membri estranei: coniuge e nipoti. In questi casi si viene a creare un nuovo profilo della famiglia e si ricostituiscono per necessità nuovi legami di affiliazione e dipendenza in cui è difficile trovare un proprio ruolo e ricavare la propria autonomia. Inoltre, il fondersi di due gruppi all’interno di un stesso spazio, in origine occupato unicamente da alcuni componenti, determina una ristrutturazione dei propri confini, che rende difficile la convivenza. La gestione di spazi ristretti, ruoli poco chiari e confini ridotti risulta perciò notevolmente costosa in termini emotivi e relazionali, per cui si rischia di distruggere la famiglia ed i legami con i propri cari.
Sarà necessario pertanto parlare a viso aperto delle difficoltà e dei propri desideri, stabilire insieme le nuove regole, perché tutti i membri siano d’accordo e abbiano la possibilità di proporre cambiamenti positivi. Ognuno dovrà farsi carico di mansioni specifiche e sarà responsabile del proprio compito all’interno del gruppo, in modo che questo funzioni e che si viva in armonia e serenità. L’amore ed il rispetto che lega i membri di una famiglia costituisce una fonte di coraggio e di speranza. Se tutti membri riusciranno a stabilire una relazione di condivisione, rispetto e accettazione il gruppo resisterà, crescerà e diventerà più forte, nonostante le ristrettezze economiche e le difficoltà quotidiane.
30 ottobre 2012