Quale “padre” nelle serie tv?

La figura paterna nelle fiction televisive al centro di un convegno della Pontificia Università della Santa Croce. Costanza Miriano: «A rischio l’identità familiare che abbiamo sempre conosciuto» di Christian Giorgio

Analizzare la figura del padre nell’età dell’oro delle serie televisive. Questo l’obiettivo al centro dei due giorni di convegno organizzati dalla facoltà di Comunicazione sociale della Pontificia Università della Santa Croce per il 22 e 23 aprile. «Quello di Francesco è un pontificato focalizzato sulle periferie – ha esordito il rettore, monsignor Luis Romera -. Ciò che dobbiamo fare è esplorare il lontano da noi, conoscerlo. Le serie tv ci avvicinano, per prime, a queste realtà e tramite esse riusciamo a capire come, nel contesto postmoderno, stia cambiando il modo di raccontare la famiglia e in essa la figura del padre». Il retroterra culturale su cui si basa la nuova generazione di fiction, soprattutto di stampo anglosassone, è quello che parte dagli anni ’90 e che arriva ai nostri giorni mutando stereotipi e racconti. È quello della decostruzione valoriale all’interno della quale, ha continuato il rettore, «il rischio di interpretare il concetto di libertà in termini di autonomia è alto. In questo senso, la figura del padre è a rischio perché è quella che trasmette i valori, che ci fa confrontare con coraggio con noi stessi rendendoci liberi. Quando si confonde la paternità con il paternalismo, quindi, si mette in crisi la dimensione che rende possibile la libertà»

Un tranquillo professore di chimica, padre di famiglia e marito perfetto scopre un giorno di essere malato di cancro. C’è poco tempo, vuole lasciare qualche soldo alla famiglia e così decide di produrre droga sintetica. È la migliore di tutto il sud America. Il timido professore diventa presto uno spietato trafficante, sempre più avido e lontano dalla famiglia che voleva aiutare. Si tratta della sinossi di “Breaking Bad”, serie tv americana nata nel 2008 e giunta alla sua ultima stagione. L’ha citata, nel suo intervento, Alberto Nahum Garcìa, docente di Comunicazione audiovisiva all’università di Navarra. «L’esempio è lampante – ha detto lo studioso -; l’ambiguità morale viene sempre di più usata dagli sceneggiatori per interessare lo spettatore. Al punto di andare ad intaccare una figura che, fino agli anni 70, veniva considerata un totem della narrazione cinematografica e televisiva, quella del padre». Diverse sono le serie tv che giocano in questa zona grigia, proponendo figure ai limiti dell’accettazione etica da parte della coscienza dello spettatore. “I Soprano” e “Dexter” su tutte. In questi casi «i personaggi sono tecnicamente cattivi – ha indicato Garcìa -, ma ci portano ad avere empatia nei loro confronti. Siamo di fronte a nuovi modi di concepire storie e di strutturarle in un contesto che, per diversi motivi, non ha più nulla da invidiare al cinema».

Ma sono i prodotti culturali ad influenzare le persone e i comportamenti o viceversa? A una delle domande più difficili, non solo in campo sociologico ma anche per quello che attiene la vita quotidiana, ha cercato di rispondere la giornalista Costanza Miriano. «I messaggi che provengono dai modelli culturali che conosciamo ci indicano, sempre di più, una perfetta sovrapponibilità dei ruoli di padre e madre. Maschio e femmina tendono a uniformarsi nell’educazione dei figli, producendo la perdita dell’identità familiare che abbiamo sempre conosciuto».

Poco preoccupato delle ripercussioni sociali dei nuovi modelli narrativi delle fiction è sembrato invece Alberto Fijo, direttore della rivista di critica cine-televisiva spagnola Fila Siete. «La post-modernità offre molte occasioni; tra queste – ha osservato Fijo – quella di tuffarsi in una vertigine della narrazione che permette di sperimentare e di allontanare la paura del silenzio che oggi opprime l’uomo». In questo senso la figura paterna, soprattutto nella fiction anglosassone, ha concluso Alberto Fijo, «è più una risorsa che un argomento nella trama. È la figura che permette di unire il puzzle disgregato di una storia che è quella narrata dal postmodernismo».

23 aprile 2013

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