Poesia, l’«abc» di Magrelli

In 30 pagine il poeta romano ha condensato una sorta di “contromanuale” intrecciando 21 voci in forma di lezione di Andrea Monda

La domanda è a dir poco imponente, eppure il libro che Valerio Magrelli ha sfornato è davvero esile: 30 paginette in cui il poeta romano ha condensato quasi un “contromanuale” intrecciando, una dietro l’altra, 21 voci (da “autore” fino a “zeppa”) usando «lo stratagemma dell’abecedario» perché, come ammette in apertura, «senza l’appiglio delle sue ventuno voci, una volta scoperchiato il vaso di Pandora della poesia, sarei stato spazzato via da tanta furia». La poesia quindi è, prima affermazione, posta da Magrelli antecedente la stesura delle sue 21 “lezioni” (e di lezioni si tratta: il bel volumetto è pubblicato infatti insieme ad un cd-audio – contenente la voce del poeta registrata negli incontri pubblici all’Auditorium), un vaso di Pandora, una furia a stento repressa che potrebbe devastare l’universo. Le brevi ma sostanziose lezioni di Magrelli sono quindi un primo approccio, teso quasi ad addomesticare il “mostro” della poesia e di presentarne il volto più docile, umano. C’è molta erudizione e cultura, infatti, in queste divertite e divertenti riflessioni che si accumulano «sull’esile traliccio» delle 21 voci; bellissima, ad esempio, la lezione sull’explicit, perché se una poesia ha bisogno dell’ispirazione dell’incipit, un poeta, per essere tale, deve dimostrare di saper arrestare, di saper dire “basta”, di conoscere quando è il momento di cessare l’opera della lima. È sufficiente questo flash per comprendere che Magrelli, la sua ormai ultraventennale produzione lo dimostra, è molto attento agli aspetti operativi della poesia (l’immagine delle api operose è a lui cara e l’ha usata, ad esempio, parlando della poesia di Carver), la sua è una radiografia degli organi più interni, quelli apparentemente più opachi, della arte poetica. È illuminante in tal senso la voce «Impegno», che esiste in poesia ma non nei confronti di un “astratto potere”, ma contro l’impiego usuale, prosaico, del linguaggio. «I materiali verbali – scrive – sono sottratti dall’anticorpo della poesia, alla “mercificazione quotidiana”»; anche per questo la poesia può e deve parlare di tutto (come dimostra il bellissimo brano del poeta gesuita Hopkins, citato alla voce «Tematica»), di tutto, tranne, ovviamente, «del tramonto con i gabbiani».

«Che cos’è la poesia?», di Valerio Magrelli, Luca Sossella Editore

22 gennaio 2006

Potrebbe piacerti anche