“Philomena”, storia tra verità e perdono

Nelle sale il film di Frears, Leone per la migliore sceneggiatura a Venezia, che ha ottenuto molti riconoscimenti «collaterali», tra i quali il Premio Signis, assegnato dalla giuria cattolica internazionale
Di Massimo Giraldi

Nel 2002 era uscito “Magdalene”, inopinatamente premiato con il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, ambientato nell’ Irlanda dei Sessanta e incentrato sull’atteggiamento vessatorio che molte suore tenevano nei confronti di ragazze uscite dai binari di una «buona condotta». Una base realistica, uno svolgimento che si faceva beffe della realtà. Oggi un nuovo film con molti punti in comune e con una differenza sostanziale: il diverso approccio alla materia da parte dei realizzatori.

Si parla di “Philomena”: anche questo in concorso all’edizione 2013 della manifestazione veneziana, a lungo in lizza per i premi più importanti, vincendo alla fine solo il Leone per la migliore sceneggiatura. Ha invece ottenuto molti riconoscimenti nei premi «collaterali», primo tra i quali il Premio Signis (la giuria cattolica internazionale, già Premio Ocic).

Siamo ancora in Irlanda, è il 1952. La minorenne Philomena, rimasta incinta, viene mandata in convento dove, dopo il parto, vive separata dal neonato, che vede raramente. A niente serve opporsi quando vede il bambino dato in adozione ad una famiglia benestante di Washington. Cinquanta anni dopo, Philomena, sposata, madre e ora vedova, entra in contatto con il giornalista Martin Sixsmith. Questi ascolta gli eventi di mezzo secolo prima e, dopo qualche esitazione, accetta di occuparsene e di scriverne un libro. Comincia allora una ricerca che li porta insieme negli Stati Uniti, poi al ritorno in Patria, avendo appurato la verità.

Verità e perdono sono certamente i due elementi dentro i quali è racchiusa la parabola di Philomena, che da giovanissima subisce una violenza impossibile da dimenticare, che infatti per mezzo secolo non dimentica e che pure, ricostruiti i fatti, non alimenta in lei istinti di vendetta o di rivincita. Al giornalista che si meraviglia di tale generosità, la donna, anziana ma lucida, offre una lezione di umanità e di civiltà, derivata da una fede che non è dogma ma intelligenza, tesoro di spirito e di preghiera, apertura verso l’altro.

Giustamente premiato per la scrittura incalzante, serrata, stringata del copione, il film offre molti altri temi sottotraccia, sguardi non convenzionali sulla società inglese e americana, sulla religione, sulla famiglia. Stephen Frears, regista di larga esperienza, pronto a girare storie molto diverse tra loro, miscela al meglio serenità, furbizia, attualità.

La Giuria Signis, presieduta dal sacerdote messicano Louis Garcia Orso, ha premiato il film «perché offre un intenso e sorprendente ritratto di donna resa libera dalla fede. Nella sua ricerca della verità, sarà sollevata dal peso di un’ingiustizia subita grazie alla sua capacità di perdonare».

23 dicembre 2013

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