Noa racconta il suo amore per Napoli

La cantante israeliana il 17 febbraio all’Auditorium Parco della Musica con Gil Dor & Solis String Quartet parla della passione per la canzone partenopea. E del suo rispetto per il Papa di Concita De Simone

C’è il filo rosso che lega il Medio Oriente e il sud Italia in un dialogo che incrocia suoni e culture, per incantare con le sue melodie e far riflettere con la sua potenza educativa, al centro di “Noapolis – Noa sings Napoli”, l’omaggio della cantante israeliana più conosciuta al mondo alla musica partenopea, che Noa ripropone domenica 17 febbraio all’Auditorium Parco della Musica. Un percorso dalle villanelle del ‘400 a Roberto Murolo, in cui emergono anche canzoni meno conosciute: da “Santa Lucia Luntana” a “Era de maggio”, da “Torna a Surriento” a “Fenesta vascia”, fino a “I’ te vurria vasà” e “Tamurriata nera”, solo per citarne alcune. In Sala Sinopoli insieme a Noa anche Gil Dor alla chitarra acustica e i Solis String Quartet, il quartetto d’archi napoletano composto di Vincenzo Di Donna, Luigi De Maio, Gerardo Morrone, Antonio Di Francia, con cui la cantante nata a Tel Aviv nel 1969 da genitori yemeniti, cresciuta negli Stati Uniti, già premiata come Artista per la Pace nel 2001, collabora già da qualche anno. In attesa che torni in Italia per il concerto romano e per una successiva tappa siciliana, l’abbiamo intervistata per farci raccontare i suoi progetti.

Che cosa lega il sud d’Italia al Medio Oriente?
Molte cose: la mentalità, il caos, la storia, il carattere come quello della gente “sabra” (i nativi israeliani), che sono come “fichi d’India”, duri fuori e morbidi dentro. E poi il paesaggio, il sole caldo, il mare, gli immigrati, la saggezza, le donne forti che lottano per il loro posto in una società talvolta ancora conservatrice e restrittiva, l’importante, molto importante, significato della religione nella vita delle persone, ma anche la superstizione, il valore della famiglia, la passione, la disperazione che bacia la speranza, la risata che nasce dalla sofferenza, il cinismo che non riesce a offuscare la profonda capacità di cura, il battito cardiaco, il ritmo del vento.

Che cosa ti affascina della cultura musicale partenopea?
Il fatto di racchiudere in sé le cose che ho menzionato prima. Ed è così bella! Essa risuona profondamente nel mio cuore, come se mi fosse sempre appartenuta.

Quando hai imparato le canzoni napoletane?
Ho imparato la mia prima canzone napoletana ,”Torna a Surriento”, molti anni fa, da mia madre, che amava ascoltare Pavarotti. Poi ho aggiunto due canzoni, “Santa Lucia” e “I’ te vurria vasà”. Ma ho conosciuto la maggior parte del repertorio in seguito con Gil Dor quando abbiamo iniziato a lavorare con i Solis String Quartet di Napoli. Il giornalista de Il Mattino Federico Vacalebre ha contribuito molto a questo processo.

In quali canzoni ti esibirai all’Auditorium di Roma?
Eseguiremo quelle dell’album “Noapolis”, oltre ad alcuni successi e canzoni d’amore che hanno segnato la mia carriera.

Hai paragonato la storia di “Tammurriata nera” a una canzone yemenita che ti cantava tua madre. Ce la racconti?
I concetti sono simili. In entrambe queste canzoni troviamo donne disperate, in lotta contro i perbenismi della società, per difendere la propria libertà e i propri diritti fondamentali. Oltre le barriere temporali e culturali, la donna è la stessa donna, e vive la sua tragedia eterna.

Hai portato questo progetto anche a Napoli: come ti hanno accolta?
Lo dovresti chiedere a loro! Mi è sembrato che gli sia piaciuto. Abbiamo ottenuto una standing ovation molto entusiasta al Teatro San Carlo, tutto esaurito, e molte buone recensioni sui giornali. Una signora dopo il concerto mi ha detto: «Tu mi rendi orgogliosa di essere napoletana». Non c’è niente come la musica che riesca a superare le barriere della lingua e delle cultura per unire le persone e farle emozionare.

Da ebrea simbolo del dialogo interreligioso, cosa ne pensi della rinuncia di Benedetto XVI e cosa ti aspetti dal prossimo Papa?
Sono rimasta molto colpita, come tutti e mi sono chiesta cosa potesse averlo spinto a questa decisione. Posso giudicare solo in base alle informazioni che ho attraverso i media e, in ultima analisi, penso che sia una buona cosa. In primo luogo, mi ha colpita questo Papa nel compiere questo passo coraggioso e onesto. Ha agito con grande integrità e per questo ha tutto il mio rispetto. Secondo, rompere gli schemi è sempre una cosa positiva. Un gesto inaspettato che dimostra che le cose non possono sempre essere date per scontate, ed è una buona cosa: apre la mente, allarga il senso della prospettiva. Mi auguro che il nuovo Papa possa lavorare per unire ancor di più le religioni, per mettere in risalto ciò che hanno in comune e per fermare tutte le guerre e l’odio in nome di Dio. Spero che possa essere ispirato da una grande apertura mentale.

15 febbraio 2013

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