Nicola Piovani racconta “Semo o nun semo”

In scena al Teatro Olimpico, fino al 6 aprile, una “Serata di canzoni romane” insieme al maestro già vincitore di un premio Oscar nel 1999 di Concita De Simone

La vigilia del debutto di uno spettacolo, anche per un premio oscar come Nicola Piovani (per le musiche de “La vita è bella”, nel 1999), è sempre emozionante e caotica, soprattutto se a una delle protagoniste (Tosca) viene una laringofaringite acuta e bisogna sostituirla una settimana prima.

Tra una prova e l’altra, il maestro Piovani, romano, classe 1946, concede questa intervista per parlare di Semo o nun semo. Serata di canzoni romane, che torna a Roma, al Teatro Olimpico, da ieri – 27 marzo – fino al 6 aprile, per la quinta volta.

Promosso dalla Compagnia dell’Ambra e dall’Accademia Filarmonica Romana, sul palcoscenico ci sono oltre allo stesso Piovani, direttore al pianoforte, i cantanti Donatella Pandimiglio e Pino Ingrosso, ai quali si aggiunge, al posto di Tosca, Carlotta Proietti (Figlia di Gigi)i; e poi l’attore Massimo Wertmüller e i musicisti dell’Ensemble Aracoeli.

Si tratta di una sorta di drammaturgia a base di canzoni romane, come un canzoniere della Vecchia Roma – quella di Ettore Petrolini, Romolo Balzani, Aldo Fabrizi – dove si ritrovano anche citazioni di Petrolini e Trovajoli, e tanti stornelli. Semo o nun semo, il brano che dà il titolo al lavoro, è di Romolo Balzani, un vero e proprio cantautore romano che è presente con altre tre sue composizioni: San Giovanni, dedicata alla festa di cui fu un grande protagonista, L’eco der core e Barcarolo romano, entrambe composte nel 1926. Tra le chicche: Na serenata a Ponte (canzone giunta a noi per tradizione orale, raccolta e rielaborata da Nicola Piovani), Affaccete Nunziata, Nina si voi dormite, Canzone a Nina di Ettore Petrolini insieme alla più famosa Tanto pe’ cantà. E ancora Lulù di Aldo Fabrizi, Serenata sincera, Roma forestiera, composta nel 1947, in cui si cantava la nostalgia per la Roma che fu, e Com’è bello fa’ l’amore quando è sera, uscita allo scoppio del secondo conflitto mondiale.

Un viaggio nel passato di ogni romano, e in quello del regista in particolare, che, per lo spettacolo, ha deciso di musicare alcune canzoni che sua zia Pina – attrice e cantante nel gruppo di Romolo Balzani- gli cantava quando era bambino…

Maestro Piovani, come nasce lo spettacolo?
Le canzoni romane sono la colonna sonora domestica della mia infanzia: le cantava mia madre mentre si sfiancava nei lavori di casa. Da grande ho voluto studiarle per capirle di più: si ama davvero solo ciò che si conosce bene. Poi, quattro anni fa, si è presentata l’occasione: i festeggiamenti per il centenario di Villa Borghese. Ho chiesto aiuto a mio nipote Pietro Piovani (il figlio di mio fratello) per i testi; ed eccoci qua a replicare con gioia “Semo o nun Semo”.

Come sta la canzone romana?
Si è detto e scritto che la canzone romana stilisticamente non esiste, in fondo sarebbe solo un succedaneo della canzone napoletana, e in parte è vero. Ma non estremizziamo, una piccola sua fisionomia distintiva la canzone romana ce l’ha: un certo sentimento di petroliniana rassegnazione, di sulfureo disincanto, che si traduce in vago e scanzonato andamento ritmico; che non è certo la leggera tarantella partenopea, profumata di erbe marine e forni a legna, ma un cugino saltarello dai piedi pesanti, adatto ai sampietrini e odoroso di incenso e di pajata.

Cosa c’è, cosa si “vede” nella canzoni di “Semo o nun semo”?
Ho pensato che con le canzoni di Roma una serata appetibile si potesse mettere sù. Soprattutto per ripresentare e riascoltare quella quindicina di canzoni che profumano ancora, che ci vengono dall’infanzia, o dall’infanzia dei nostri genitori o dei nostri nonni, eseguendole in una veste il più possibile vicina all’originale. Nel corso dei decenni tutte le canzoni della tradizione popolare hanno subito riletture che le adattavano alla moda, al gusto corrente e, soprattutto dagli anni sessanta in poi, le riletture consistevano in un adeguamento al dettato del mercato discografico, della cosiddetta musica leggera. Spariva però la teatralità di queste canzoni, nate sulle tavole dei palcoscenici per essere cantate e recitate sul fiato del pubblico, di un pubblico in carne e ossa. Nell’orchestrare per piccolo ensemble una Serata di canzoni romane ho cercato di restituire quanto possibile il colore e il profumo originale, rispettando lo spirito degli autori che le hanno fatte nascere, compresi certi sentimentalismi démodé e certi candori campanilistici

Uno spettacolo per nostalgici o per ricordare un po’ di storia?
Le radici dialettali sono un tema di tutto rispetto: studiarle, coltivarle e farle conoscere non è un atto nostalgico, ma un atto progressista. E questo mi è sembrato un valido motivo in più per concederci una serata teatrale di canzoni di Roma, non per ri-visitarle, ma semplicemente per visitarle, restaurandone con l’orchestrazione un po’ della tinta originaria, come si fa con certe facciate di vecchi palazzi, ma cercando nello stesso tempo di evitare il rigore filologico, perché la filologia, a Teatro, è noiosa.

Dove è cresciuto e che rapporto ha con Roma?
Abitavamo al Trionfale, proprio di fronte al piazzale dei Musei Vaticani. Il primo sabato del mese allora si entrava gratis e noi ragazzini ne approfittavamo per giocare a nascondino – anzi, a nascondarella – dietro alle statue venerate dai turisti. Per andare a scuola attraversavo due volte al giorno piazza San Pietro. E ogni tanto mi affacciavo dentro la basilica: l’immagine della Pietá di Michelangelo faceva un grande effetto. Quegli anni hanno lasciato un segno sulla mia formazione. Certo, per quanto io non posso non dirmi laico. Ma credo che lo spirito sacro sia parte della vita. Non potrei nemmeno scrivere musica senza avere una qualche cometa, sia pure anche una scintilla.

28 marzo 2008

Potrebbe piacerti anche