Nel cuore la lezione di don Santoro

La testimonianza del prete che gli successe ai Santi Fabiano e Venanzio, ora parroco a San Saturnino di don Marco Vianello

«Ricordati che le cose vanno fatte finché si ha il tempo per farle». È la frase che ho sentito pronunciare da don Andrea quando l’ho visto imboccare per l’ultima volta l’uscita degli uffici della parrocchia di Santi Fabiano e Venanzio, il 25 gennaio 2006, al termine della celebrazione eucaristica pomeridiana. Approfittando della sua presenza a Roma, insieme agli amici della “Finestra per il Medioriente” l’avevamo invitato a concludere la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani perché portasse la sua testimonianza di impegno in Turchia a quanti, parrocchiani e amici, conoscevano la passione di Andrea per l’ecumenismo e per il dialogo interreligioso.

Al termine della celebrazione, dopo il lungo saluto ai tanti che avevano voluto incontrarlo personalmente anche solo per un attimo, si era attardato in sacrestia con una persona. Giusto il tempo di un breve saluto – «Allora, tutto bene? Tornerai presto?», gli avevo chiesto; «Presto, presto…», mi aveva velocemente risposto – e di vederlo andar via, seguito a breve distanza dal suo interlocutore. Non so chi fosse quell’uomo né di cosa avessero parlato, ma quel «Ricordati che le cose vanno fatte finché si ha il tempo per farle», dettogli in corridoio quasi fuggendo via, con il suo solito tono perentorio, tipico di quando doveva dare un consiglio decisivo a qualcuno, mi è risuonato forte nella mente tante volte da quella domenica 5 febbraio, giorno della sua uccisione. Avevamo celebrato in parrocchia la Giornata della vita: domenica mattina in tanti avevano donato il sangue per la consueta raccolta, durante le Messe avevo benedetto il grembo di tante mamme in attesa di dare alla luce un bambino. Poi, nel primo pomeriggio, il rimbalzare di notizie, le prime conferme, l’arrivo dei giornalisti, la chiesa che si riempiva, decine di volti segnati da un misto di dolore e di speranza, una celebrazione dell’Eucaristia improvvisata, necessaria per vivere da subito quell’evento alla luce della Pasqua di Gesù. Uno di noi, già parroco della comunità, aveva dato veramente il sangue e il grembo della madre Chiesa consegnava alla vita eterna un suo figlio sacerdote, Andrea.

«Finché si ha il tempo…»: quante cose aveva fatto Andrea nel tempo del suo ministero di parroco a Villa Fiorelli, quante iniziative, quante piccole grandi svolte nella vita della parrocchia. Finché ne ha avuto il tempo, Andrea è stato una tempesta di grazia, un turbine di energia, un ciclone di fantasia: incontri, celebrazioni, processioni, idee… che fatica stargli appresso, ma che ricchezza di esperienze e di novità! «E ora, continua tu!», mi disse la sera del “passaggio di consegne”, quando presi il suo posto come parroco nel giugno del 2000: «Eh, hai detto niente!», gli risposi, pensando ai ritmi con i quali aveva fatto camminare la parrocchia nei suoi sei anni di ministero.

«Finché si ha il tempo…». Anche i 6 anni di permanenza in Turchia sono stati ben “riempiti” dal don Andrea missionario. Rileggendo le sue lettere, è chiaro che era cambiata solamente la visibilità del suo ministero: i grandi raduni pubblici romani erano sostituiti dagli incontri più o meno casuali con i vicini di casa o con qualche pellegrino, dalle celebrazioni semplici con pochi fedeli, dai tanti momenti di deserto, dalle Vie Crucis percorse in silenzio per le strade della città. L’efficacia sembrava però essere la stessa, quella di un piccolo ma tenace “seme” che cercava di portar frutto in tutti i modi, tessendo piccole e autentiche trame di dialogo, di reciproca conoscenza, di condivisione umana e spirituale, tra ortodossi, musulmani, ebrei, cattolici, quanti cioè riempivano il tempo della missione turca di Andrea.

«Finché si ha il tempo…». Quel 5 febbraio ho pensato anche io, come tanti altri miei parrocchiani, che la morte avesse interrotto troppo prematuramente il “tempo” della missione di Andrea, che di cose ne avrebbe potute fare certamente tante altre. Ben presto ho capito che Andrea aveva fatto la cosa più alta, essere come quell’«Uomo della Croce che cammina amando, soffre benedicendo, si sacrifica come un agnello muto e innocente per un’umanità vociante, ignara o perduta nelle sue colpe. Ama anche se schiacciato, prega anche se sprofondato nel dolore, si dona anche se umiliato, si protende anche se rifiutato, cerca anche se evitato. Questa è la vittoria che vince il mondo!» (Lettera del 30.11.2003). Andrea aveva occupato il suo “tempo” facendo la volontà del Padre e dando la vita come Gesù, e dunque non c’era nulla di più alto da fare! Quella domenica era diventata ancora una volta giorno di “vittoria”, di Gesù e di Andrea. E ora che sono parroco in un’altra comunità e che per me si è aperto un altro “tempo”, porto nel cuore l’esperienza unica della testimonianza di fede e di radicalità evangelica ricevuta a Villa Fiorelli da don Andrea, da condividere ora anche con i miei nuovi parrocchiani di San Saturnino, perché possano anch’essi cogliere qualche frammento della spiritualità e dell’originalità del mio ex-parroco “martire”.

28 gennaio 2007

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