Natale, fiducia da vivere dentro la storia

La natività ci fa uscire dalle abitudini, dal «grigio pragmatismo della vita quotidiana», per andare in tutte le Lampeduse che un mondo indifferente avvolge nelle nebbie della dimenticanza. È lì il presepe vivente di Matteo Zuppi*

Desidero iniziare questa riflessione con delle parole pronunciate da uno dei due vescovi rapiti in Siria, Paul Yazigi, vescovo greco-ortodosso di Aleppo. Ricordiamo tutti coloro che sono sequestrati, come padre dall’Oglio, le monache di Maalula, dove ancora si parla aramaico, la lingua di Gesù. Ricordiamo la Siria tutta, sequestrata dalla violenza, che attende il Natale della pace. Chiediamolo per tutti i Paesi in guerra. Diceva il vescovo: «Non è importante che tu ami “molto”. Importa che tu ami “di più”. Si tratta maggiormente di donare che di ricevere. E solo dentro un tale amore diviene possibile l’amore per i nemici. L’amore autentico consiste nel preferire l’altro a se stesso. Non c’è amore più grande di quello di una persona che doni tutto ciò che gli appartiene ad un’altra persona che non gli ha donato nulla. Il fatto di amare veramente qualcuno non significa che lo amiamo “molto”, ma che lo amiamo, anche poco, ma “più” di noi stessi. Preferire l’altro a se stessi è la santa scelta. Ogni altra scelta è malvagia. I figli di Dio preferiscono gli altri a se stessi. Tu ami Dio? Allora ama come lui!».

Questo è il Natale: Dio ama di più, tanto da farsi uomo. Conosciamo, forse, un amore che non si supera? Dio non indica una regola. Si fa vicino e mostra il suo amore. Per credere all’amore e perché anche noi amiamo così. Non è un problema di quantità, di perfezione. Si tratta di amare più delle nostre paure, degli interessi, dei calcoli, dei ruoli, delle convenienze, dei giudizi, anche del nostro stesso peccato. Natale è bontà e tenerezza che ci donano un amore di più del nostro rancore, per cui perdoniamo; di più delle ragioni, per cui facciamo noi il primo passo verso il fratello; di più delle paure, che ci fanno credere che donare significhi perdere. Natale lo vediamo se usciamo dalla «bolla di sapone» che ci rende spettatori. Inizia quando ci chiniamo sulle periferie umane e esistenziali dove mai avremmo cercato la vita e le cose importanti, dove non andremmo, per paura, pigrizia, calcolo, convenienza, ruolo. Perché Natale non è un po’ di benessere spirituale, in una generazione che consuma tutto per sé. È gioia vera, ma non fuori dalla storia, dentro. Ci fa uscire dalle abitudini, dal «grigio pragmatismo della vita quotidiana», dalla «tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore», scrive Papa Francesco nella «Evangelii gaudium». Uscire per andare in tutte le Lampeduse che un mondo indifferente avvolge nelle nebbie della dimenticanza. È lì il presepe vivente.

Questo Natale è segnato da profonda disillusione, che indurisce i cuori. A volte appare lucidità, intelligenza, addirittura prudenza, mentre ci chiude gli occhi, rende rabbiosi e allo stesso tempo svogliati. I disillusi finiscono per essere prigionieri della tristezza individualista, che «scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Tanta speranza di Dio libera da quella tentazione. «Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti». Tanta fiducia di Dio ci ricorda «che ogni persona è degna della nostra dedizione», «ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore… Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita». Anche una sola, come gli umili inizi di Betlemme. Tanto amore di Dio ci fa scoprire chi siamo, perché, come diceva Papa Benedetto XVI, «l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’”io” può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’”io” può accettare se stesso».

A Natale sentiamo tutta questa tenerezza e bontà del Tu che è Dio. E non ce le facciamo rubare dalle prime difficoltà! La luce del Natale ci apre gli occhi per vedere in modo nuovo la vita di sempre e per vedere tutto con gli occhi di Gesù. Ogni giorno e ogni persona, come Francesco d’Assisi. È la gloria commovente di Betlemme, dove la debolezza è amata e riconciliata. Un amore «di più».

*vescovo ausiliare

23 dicembre 2013

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