Melazzini: per Eluana la grande sconfitta è la vita

La testimonianza del medico malato di Sla al convegno “Liberi di vivere”: «Gravissimo parlare di autodeterminazione». Un libro e un appello al presidente della Repubblica di Graziella Melina

«Chi ha emesso una sentenza che legalizza un atto che, come medico, giudico orribile, dice che Eluana non sentirà dolore. Su che fondamento si basa?». «Come mai quando è successo a Terri Schiavo, negli ultimi giorni le è stata data della morfina? Allora è un controsenso. O Eluana sente oppure non sente. E se sente è un essere umano». Martedì sera, a Nomadelfia, al convegno “Liberi di vivere… anche per Eluana” – promosso dall’associazione Ad Maiora, in collaborazione con il Centro di aiuto alla Vita di Roma – Mario Melazzini, primario oncologo e presidente dell’Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), proprio non si dà pace.

«È una cosa gravissima che si voglia far passare come autodeterminazione» quello che in realtà è un vero e proprio “atto eutanasico”. «Non penso solo a Eluana Englaro, penso a come si sentono gli altri 2mila malati e i familiari. Si continua a dire che è un fatto privato. Mi ferisce come cittadino, come medico e come malato». E subito chiarisce: «Non dobbiamo essere tristi, anche con una malattia si può vivere, solo che il malato deve essere messo nelle condizioni giuste per farlo».

Mario Melazzini è affetto da sclerosi laterale amiotrofica da 5 anni. La Sla, ha spiegato, «è una malattia molto strana» che si insinua nel nostro organismo in maniera subdola e distrugge i motoneuroni, deputati a portare gli impulsi a tutto l’organismo e a permettere i movimenti, da quelli più semplici, come camminare, a quelli più complessi, come respirare.

«Quando successe a me – ha raccontato – ragionavo con quella cultura dei benpensanti che dicono che alcune condizioni, legate alla disabilità, non siano degne di essere vissute. Io sono medico. A 39 anni ero già direttore di una struttura ospedaliera. Quando arrivò la Sla, dissi: “È impossibile vivere”. Mi vedevo proiettato nel letto con un tubicino nello stomaco. Forse in me non c’era quella grande convinzione che con la malattia si potesse vivere. Se sono qua è perché ho fatto delle scelte. Con un tubicino nello stomaco e una macchina che mi aiuta a respirare, vivo, e vivo bene». «Spesso – ha poi proseguito – rapportiamo la dignità della vita alla qualità della vita. Ma la dignità è un nostro carattere ontologico e non può dipendere dalla qualità».

E ancora, a proposito della sentenza della Cassazione che ha autorizzato la sospensione dell’alimentazione di Eluana Englaro, «ho sentito delle dichiarazioni di vittoria: “Ha vinto lo stato di diritto”. Ma in questo caso non ci sono vincitori e vinti – ha detto -. Ma c’è una grande sconfitta: la vita, e il non tener conto della persona, dell’essere umano».

In Italia sono circa 5mila i malati di Sla. «Quotidianamente – ha denunciato Melazzini – questi malati lottano contro l’immobilismo delle risposte delle istituzioni, per poter vivere». «Quando parlo con i politici, sorrido. Loro sostengono che i temi eticamente sensibili non fanno parte dei programmi del Governo».

Quindi, tra gli sguardi stupiti della platea, ha ammesso: «Sono fortunato come uomo, medico e malato. La mia malattia è un valore aggiunto. Ho la fortuna di trovare persone meravigliose: i malati. Loro hanno paura dell’abbandono. La richiesta di morire – ha sottolineato – è frutto di una situazione di disagio, di una crisi depressiva legata alla situazione di perdita di dignità. Esistono studi scientifici che dicono che la dignità sta nell’occhio del curante». Come ha sottolineato pure Benedetto XVI, nel febbraio dell’anno scorso, quando disse che «lo sguardo che parte nell’altro decide della sua dignità». «Rimanete vicino alle persone che soffrono perché sono uguali a noi». Ma subito Melazzini si interrompe, sorride e puntualizza: «Mi considero sano – confessa -. Siamo tutti uguali».

Durante il convegno, moderato da Giorgio Gibertini, presidente dell’associazione Ad Maiora, è stato presentato il libro “Liberi di vivere” e l’appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché le persone malate di Sla possano vivere con dignità e libertà. «Questa è una battaglia di ragione e di cultura – ha spiegato il senatore Antonio Palmieri, promotore dell’appello -. Noi sosteniamo che la vita vale sempre e che inguaribile non vuol dire incurabile. Piuttosto è l’abbandono delle istituzioni che genera depressione, tristezza e desiderio di farla finita. La stessa dinamica poi si impadronisce della famiglia».

Per il momento all’appello hanno dato la loro adesione circa 25mila persone. Da qui all’anno prossimo si punta a raccogliere almeno 50mila firme. Per farlo, basta scaricare il modulo dal sito: www.liberidivivere.it.

19 novembre 2008

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