Massimo Ranieri racconta il suo ritorno al Sistina

Dal 27 maggio al 22 giugno, con “Canto perchè non so nuotare… da 40 anni”, l’artista canta, balla, recita lungo le tappe più emozionanti della sua vita di Concita De Simone

“Cantattore”: così ama definirsi Massimo Ranieri (www.massimoranieri.it), artista poliedrico, affascinante affabulatore, che nel suo ultimo spettacolo, “Canto perché non so nuotare… da 40 anni”, canta, balla e recita raccontando le tappe più emozionanti della sua vita. Cinquantasette primavere, celebrate lo scorso 3 maggio, una tournée che va avanti dal febbraio dello scorso anno e che non si fermerà fino al gennaio 2009, un doppio dvd con lo stesso, insolito, nome dello spettacolo, da oltre 15 settimane in classifica tra i più venduti: inarrestabile.

Ritroveremo Ranieri per un mese al Teatro Sistina di Roma, dal 27 maggio al 22 giugno, per regalare ancora al pubblico romano, dopo le performance dello scorso gennaio, il gusto di una serata di puro spettacolo a 360 gradi.

Lo show è scritto a quattro mani con Gualtiero Peirce, coreografato da Franco Miseria, e accompagnato da un’orchestra tutta al femminile, così come di sole donne è composto il corpo di ballo. Ranieri, che non smentisce, appunto, il suo essere poliedrico, firma anche scenografie e regia.

In scena le sue canzoni e alcune perle della canzone italiana d’autore, spaziando con sensibilità e deferenza da Battisti a Battiato, Mina, Paoli e Tenco. E poi, racconti e monologhi autobiografici ispirati alla figura di un bambino che lentamente si materializza. Il bambino sulla scena è il talentuoso Emanuele D’Angelo, 11 anni, di San Cesareo, provincia di Roma, due volte campione mondiale di tip tap.

E Massimo, anzi, all’epoca Giovanni Calone, ne aveva 13 di anni quando incise il suo primo disco dopo essere stato scoperto nel popolare quartiere Pallonetto di Santa Lucia, quando cantava per feste private e matrimoni. Era il 1964 e si faceva chiamare Gianni Rock. Tre anni dopo, con il nome di Massimo Ranieri, la svolta con la vittoria al Cantagiro nel girone dedicato alle giovani promesse. L’inizio dell’ascesa.

C’è anche la sua storia in questo show. Una passione diventata mestiere. Un mestiere diventato vita. La chiacchierata con Ranieri avviene una manciata di minuti prima dell’ultima replica dello spettacolo a Napoli, la sua Napoli, al Teatro Acacia.
Giusto il tempo di raccogliere la sua adrenalina, che, c’è da scommettere, non è quella da ansia da palcoscenico, ma piuttosto quella dell’energia tipica dei partenopei, anzi, quella che a Napoli chiamerebbero l’ “artéteca”.

Canti perché non sai nuotare, ma sai recitare, ballare, intrattenere… Come definiresti Massimo Ranieri?
Eh! Sono un testardone, pignolo fino a diventare rompiscatole. Non sono uno che rimane in superficie, ma vado sempre in profondità, in tutte le cose. E mi piace farne tante.

Quaranta, anzi, ormai quarantuno, anni fa hai iniziato la tua carriera. Che tempi erano?
Era tutto diverso. Lo dico senza nostalgia. Non se oggi sia meglio o peggio. Ma la musica era diversa, l’Italia era diversa. Un tempo, se volevi avvisare la tua fidanzata del tuo arrivo, dovevi trovare un gettone e un telefono pubblico. Oggi c’è il cellulare. Abbiamo guadagnato tempo, ma, forse, abbiamo perso poesia.

A proposito di donne, come mai sul palco con te ce ne sono così tante?
Perché c’è forse qualcosa di più bello? Non è retorica. Credo veramente che la donna sia il centro della vita. L’essere in grado di darti sicurezza. E poi, le mie artiste sono bravissime.

Veniamo alle canzoni di questo spettacolo. Dì la verità, tu sei il primo a emozionarsi sul filo dei ricordi… Forse è questo il tuo segreto?
Certo che mi emoziono. Guai se non mi accadesse. Il pubblico te la legge in faccia l’emozione. Mi emoziono perché mi piace quello che faccio e mi piace poter portare al pubblico quello che sono. Canto canzoni d’amore che mi piacciono, da “Il cielo in una stanza” di Paoli, a “Se stasera sono qui” di Tenco, “Un’avventura” e “Pensieri e parole” di Battisti, e persino Vita spericolata di Vasco. E poi i miei cavalli di battaglia, da “Vent’anni”, quello cui sono legato perché racchiude tutta la mia vita, la mia infanzia, la mia prima adolescenza a “Rose rosse”, a “Perdere l’amore”, un brano cui devo tanto, perché è stato quello del rilancio, quello che mi ha fatto trionfare a Sanremo dopo 20 anni che mancavo dal Festival e dopo 13 anni di allontanamento dalla canzone. Lo vedo e lo sento cantare anche dai giovanissimi. Come potrei non emozionarmi?

Che cosa rappresenta per te Roma e il Teatro Sistina?
Per me Roma e il Teatro Sistina sono un tutt’uno, si fondono. Qui si sono esibiti personaggi storici, da Totò ad Anna Magnani, fino a Manfredi o Aldo Fabrizi e anche per me rappresenta l’affermazione professionale, perché arrivare al Sistina era come stare al centro del mondo. A Roma poi, da 40 anni ho i miei affetti, le mie cose care. Sono napoletano, ma a Roma devo tanto.

23 maggio 2008

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