Malinconia e ironia nel nuovo Allen

È nelle sale “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”. Ambientato a Londra, segue le vicende di due coppie in crisi e di alcuni altri personaggi di Massimo Giraldi

È nelle sale da qualche giorno il nuovo film di Woody Allen, “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”. Scenario: Londra, oggi. Personaggi: Alfie e Helena, coppia matura; Sally e Roy, coppia più giovane; Greg, proprietario di galleria d’arte; Dia, studentessa in procinto di sposarsi; Charmaine, ragazza molto desiderata; Iris, pittrice; altri ruoli come voci di contorno nel coro metropolitano. Deciso a non rassegnarsi allo scorrere degli anni, Alfie lascia la moglie Helena e, dopo vari tentativi, va a vivere con la vistosa Charmaine. La loro figlia Sally si innamora di Greg, suo capo nella galleria d’arte dove lavora, mentre il marito di lei, Roy, un medico che vuole fare lo scrittore, si lascia attrarre dalla dirimpettaia Dia. Da qui si sviluppano le varie storie, nessuna delle quali però arriva veramente ad una conclusione.

Dopo 41 film come regista (e altri come attore) e 75 anni di età (compiuti proprio all’inizio di dicembre), Woody Allen può permettersi di ignorare che fine fanno i vari protagonisti. Cittadino di NewYork, anzi di Manhattan, fin nel midollo e da qualche anno girovago in Europa tra Londra, Barcellona (e Parigi), Allen disegna i caratteri e poi li lascia al loro destino. Quello che faranno in effetti interessa poco. Più utile è ricordare il titolo originale del film che suona: “Incontrerai uno straniero alto e scuro”: forse la morte, che Alfie tenta di esorcizzare secondo il vieto stereotipo del matrimonio con una giovane che poi lo rende più triste di prima.

Nella scansione dei dialoghi e degli avvenimenti, Alfie è Allen stesso, ed è sempre lui quando la voce fuori campo, all’inizio, cita dal Macbeth shakespeariano: «La vita è una storia ricca di suoni e furia, priva di significato». Una frase come una dichiarazione di intenti, lungo la quale scorrono vampate di freddo nichilismo esistenziale. Passaggi malinconici che anche stavolta Allen stempera nella grazie e nella leggerezza di un cinema fatto di inafferrabili tocchi vitali, di preziose seduzioni, di ironici, beffardi contrasti. Le disarmonie sentimentali, le tempeste affettive trovano un contraltare nelle cornici ambientali, nel calore dei luoghi e degli oggetti, in una routine quotidiana che affascina e allo stesso tempo fa arrabbiare. Le istanze poetiche dell’autore arrivano ad una sintesi asciutta e contrastata.

Il Woody Allen che conosciamo, sfrontato nei confronti di quella dimensione religiosa con la quale da sempre combatte una battaglia senza vincitori né vinti, mette in campo non poco pessimismo, riuscendo però alla fine ad apparire sempre divertente e vitale: almeno finché girerà film, e comporrà questi ritratti affilati e lirici, amari e insolenti, tra pietà e cinismo. Così tra le pieghe del racconto emergono non pochi spunti di riflessione da parte di un regista che veramente può dire di essere stato salvato dal cinema come cura migliore e inesauribile.

13 dicembre 2010

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