Magda Brienza, l’universo dei minori e il diritto alla famiglia

La presidente del Tribunale per i minori interviene su affidamento, tutela e adozione. Dalla parte dei bambini di Elena Grazini

Famiglie disagiate, genitori che si separano, coppie che vogliono adottare. Tutte realtà che ruotano intorno a una parola: minori. Del loro diritto a vivere e crescere in una famiglia abbiamo parlato con Magda Brienza, Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma.
Brienza, 67 anni, dopo aver vinto il concorso in magistratura, ha lavorato come giudice penale in Pretura a Roma. Successivamente dal penale è passata alla sezione lavoro, nella quale è rimasta per circa 11 anni e poi, diventata giudice tutelare a richiesta, ne ha diretto l’ufficio per diverso tempo, giungendo infine al Tribunale per i minorenni, che presiede dal 2001.

Con la legge 149 del 28 marzo 2001 viene sancito il diritto del minore a una famiglia. Si tratta di una novità parlare di diritto?
Direi di no, visto che già la Costituzione stabilisce che è la famiglia naturale a doversi occupare dei figli e che deve essere aiutata a svolgere questo compito. Se la famiglia, nonostante i sostegni economici e psicologici, non è adeguata, allora sì che il bambino deve avere una famiglia sostitutiva. Ciò che è cambiato è che, con il passare degli anni, quello che prima veniva considerato un interesse del minore a essere tutelato e protetto si è caratterizzato sempre più come un diritto.

Se la famiglia non è vigile, chi è che rileva la situazione di disagio vissuta dal minore?
Quando ci sono situazioni di indigenza o di difficoltà psicologiche sono i servizi sociali che devono intervenire sul territorio.

Sostegno al nucleo familiare d’origine e affidamento familiare: come funziona?
La legge stabilisce una vera e propria graduatoria. Innanzitutto bisogna fornire gli aiuti alla famiglia, non tralasciando che l’affidamento familiare dovrebbe avere il medesimo scopo, perché prevede che il bambino torni nel suo nucleo d’appartenenza. Non basta, infatti, mettere il minore al sicuro in una famiglia affidataria: contemporaneamente sarebbe necessario aiutare il gruppo d’origine a recuperare le proprie capacità. Senza questo presupposto l’affidamento non può funzionare.

La legge 149 decreta la chiusura degli istituti di ricovero per minori entro il 31 dicembre 2006 e il successivo trasferimento dei minori in case-famiglie o famiglie affidatarie. Cosa ne pensa?
Prima di tutto bisogna dire che fin da quando è andata in vigore la legge del 1983 che ha previsto la vigilanza del Giudice Tutelare sugli istituti, questi ultimi sono molto diminuiti e sono invece cresciute le case-famiglia, che accolgono un numero ristretto di minori e imitano di più la relazione che può intercorrere tra un bambino e i parenti. Per questo motivo credo che la suddetta chiusura, che il Comune di Roma si sta impegnando ad anticipare a quest’anno, sia assolutamente positiva. In questo momento gli istituti si stanno dando da fare per trasformarsi in altro tipo di strutture. Qui a Roma abbiamo la Città dei Ragazzi, che certamente sta faticando, perché queste trasformazioni sono costose. Basti pensare che in una casa famiglia la proporzione tra numero degli operatori e bambini cambia. In un grosso istituto, in genere, ci sono tanti bambini e pochi operatori, in una casa famiglia il rapporto è ribaltato.

Si corre qualche rischio con questa trasformazione?
Bisogna evitare che i minori vengano tirati fuori a tutti i costi per essere rimandati a casa, anche se la famiglia non è in grado di accoglierli, visto che vengono meno gli istituti che li ospitano.

Passando al tema dell’adozione, perché tante coppie italiane vanno all’estero per adottare un bambino?
La realtà è che debbono andare all’estero. Nel Lazio, nel periodo compreso tra luglio 2004 e luglio 2005, le istanze di disponibilità presentate dalle coppie sono 1.300 mentre le dichiarazioni di adottabilità sono 104. Si deduce da questo che non tutti potranno realizzare in Italia il loro progetto di adozione.

Quali sono i criteri con i quali vengono scelte le coppie per l’adozione nazionale? E i tempi di attesa?
Premesso che le domande hanno una validità di 3 anni, facciamo l’ipotesi di un bambino grandicello, che abbia subito maltrattamenti o abusi, oppure sia affetto da qualche patologia. In questo caso servono coppie che abbiano dei requisiti adeguati alla situazione, magari dove lui è medico o lei infermiera. In quella circostanza andiamo a pescare nel mucchio intero a disposizione: può capitare anche una coppia che ha presentato la domanda da poco. Coppie disponibili se ne trovano, abbiamo dato una famiglia a bambini con handicap gravissimi. Se invece il bambino è piccolo e sano, allora è chiaro che tutte le coppie idonee vengono prese in considerazione seguendo un ordine cronologico. Può capitare che la coppia venga chiamata quasi allo scadere dei 3 anni.

Dai dati dell’Istat risulta che in Italia, nel 2003, oltre la metà delle separazioni (52,2%) e oltre un terzo dei divorzi (36,9%) hanno coinvolto almeno un figlio minore. Qual è il fattore che incide maggiormente sullo stato psicologico del minore in seguito alla separazione dei genitori?
Se c’è un modello educativo concordato tra i genitori, i danni possono essere evitati. È la conflittualità che crea problemi e la conflittualità genera problemi anche se i genitori vivono insieme.

Cosa ne pensa del progetto in discussione alle Camere in questi giorni, il provvedimento Paniz (divenuto disegno di legge al Senato con il numero 3537), che prevede l’affidamento condiviso?
Il principio che tutti e due genitori debbano continuare ad esercitare insieme la potestà mi sembra un principio validissimo. L’importante è come farlo concretamente: i bambini non possono non stare o con un genitore o con l’altro, poiché hanno bisogno di stabilità, come affermano gli psicologi. Il difetto che io trovo in questo disegno di legge è che tende a disciplinare troppo specificatamente i singoli modi di contatto con un genitore e con l’altro, oppure la suddivisione delle spese per i figli. Di solito quanto più si va nello specifico, tanto più si creano occasioni per litigare. L’intervento allora dovrebbe essere mirato ad aiutare i genitori ad abbassare i toni della conflittualità perché capiscano che, così facendo, danneggiano i figli.

Esiste, secondo lei, un modello di affidamento in grado di tutelare maggiormente il minore?
In questa materia non ci sono regole precise. Ad esempio se prendiamo in esame l’affermazione secondo la quale il bambino va affidato al genitore sano di mente, ebbene questa non è sempre valida. Alcune volte il genitore che ha un problema psicologico può essere quello che ha una relazione migliore con il bambino. Dunque, niente in questo campo può essere troppo definito. Questa è una caratteristica che ricorre in tutti i nostri provvedimenti che riguardano i minorenni. Da un lato sono generici nel senso che i giudici devono adottare i provvedimenti convenienti, dall’altra devono essere molto calibrati sul caso specifico.

20 dicembre 2005

Potrebbe piacerti anche