L’omaggio a don Santoro di amici e sacerdoti

Una tavola rotonda in Campidoglio per ricordare il fidei donum ucciso in Turchia. Monsignor Feroci: «Aveva una grande amore per il Signore, di cui si sentiva non servo ma amico» di Graziella Melina

«Mi raccomando, quando torno fammi ritrovare Gesù…». Martedì 31 gennaio 2006, cinque giorni prima di essere ucciso a Trabzon, in Turchia, don Andrea Santoro saluta all’aeroporto di Fiumicino monsignor Enrico Feroci con questa raccomandazione. «Sono state le ultime parole che ho ascoltato. Stimolo per me, per il mio servizio alla Chiesa – racconta il direttore della Caritas diocesana –. Parole dettate però, non dalla paura, ma dal grande amore che aveva per il Signore di cui si sentiva non servo ma amico, fino al punto di credere fermamente che poteva “prestare il suo corpo a Cristo perché Lui camminasse nelle strade della città dove viveva…”».

Ad ascoltare l’omaggio commosso di monsignor Feroci, nel pomeriggio di venerdì 10 giugno, in Campidoglio, alla tavola rotonda “Don Andrea Santoro sacerdote e parroco di Roma”, promossa dall’Associazione intitolata al sacerdote ucciso in Turchia, c’erano centinaia di persone: i vecchi parrocchiani del sacerdote fidei donum, e poi i suoi amici, cristiani ma anche ebrei e musulmani.

Don Andrea è stato definito spesso «l’uomo dell’incontro nel tempo dello scontro di civiltà»; più volte si è sottolineata «la “profezia” del suo parlare della necessità di un dialogo serio e rispettoso con tutti i figli di Abramo», ha premesso monsignor Feroci. Ma per comprendere la sua personalità, bisogna soffermarsi a riflettere su un aspetto essenziale: ossia la sua formazione e il suo «essere prete a Roma».

Arrivando a Verderocca, negli anni ’80, nella sua prima omelia ebbe a dire: «Io mi occuperò di Cristo e di voi: di Cristo per portarlo a voi e di voi per portarvi a Cristo. Mi metterò, come diceva l’apostolo Paolo, a servizio di questa vostra gioia: essere con Cristo, essere uno tra noi». Don Santoro guida la sua comunità, ma dentro di sé ha un desiderio: «Riascoltare la Parola nella limpidezza del tessuto antico», e ritornare perciò in Medio Oriente.

«Noi abbiamo bisogno di quella radice originaria della fede se non vogliamo morire di benessere, di materialismo, di un progresso vuoto e illusorio», scriveva. «Il suo andare in Turchia – ha detto infatti monsignor Feroci – non è stato né una fuga, né un’avventura, ma il grande amore per la sua gente, per la Chiesa di Roma».

La capitale «con don Andrea è cambiata. Lui nasce nel ‘45, con la pace, e quindi con l’idea di poter guardare alla vita con serenità», ha poi rimarcato Augusto D’Angelo, docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza, nel ripercorrere i momenti più significativi della vita di don Santoro. Uno sguardo aperto e universale, dunque, che caratterizza tutta la sua vita di sacerdote. «La compagnia dei poveri – ha aggiunto D’Angelo – accompagnerà la vita del parroco di Roma». Fino a portarlo poi in Turchia e alla morte, in «un ultimo servizio di martirio che non divide, ma lega ancora di più cristiani e musulmani».

«Bisogna fare in modo che in tutto il mondo ci sia la difesa della libertà religiosa», occorre «combattere forme di intolleranza», ha quindi sottolineato il sindaco di Roma Gianni Alemanno, secondo il quale la figura di don Andrea Santoro è «punto di riferimento per tutte le libertà che caratterizzano la vita umana». Don Andrea «è un esempio da far conoscere. La sua esperienza e il suo sacrificio siano un grande esempio che dimostra cosa sia essere cristiano e sacerdote oggi». Al termine della tavola rotonda, moderata dallo scrittore e giornalista Raffaele Luise, un concerto dell’orchestra giovanile di Roma diretta dal maestro Vincenzo di Benedetto.

13 giugno 2011

Potrebbe piacerti anche