“L’isola del mondo” con l’epica di O’Brien

Il Novecento e la storia della Croazia nel terzo romanzo della saga “I Figli degli Ultimi Giorni”, pubblicato in Italia dalle Edizioni San Paolo di Andrea Monda

Michael O’Brien è uno scrittore epico; ha forte il senso della Grande Storia che si dipana sullo sfondo e anche all’interno delle piccole storie della «gente meccanica e di piccolo affare» di manzoniana memoria. Ha già dimostrato questa inclinazione verso l’epica (suoi «maestri» espliciti sono Tolkien e Lewis) nei primi due episodi della sua saga di sette volumi, “The Children of the Last Days”, “I Figli degli Ultimi Giorni”, che nel mondo anglofono ha suscitato una vasta eco. Episodi pubblicati in Italia dalle Edizioni San Paolo col titolo di “Il nemico” e “Il libraio”. Ora l’inclinazione è confermata da questo imponente terzo capitolo, “L’isola del mondo” (843 pagine).

Il protagonista è Josip Lasta, un giovane ragazzo della Croazia che vive fino in fondo la tragica vicenda novecentesca della propria patria, dalla guerra mondiale agli scontri etnici interni, dalla dittatura comunista (tragico e illusorio «tappo» di quei conflitti) alla ripresa dello scontro con la guerra bosniaca degli anni ’90. Josip è come l’Ismaele di Moby Dick, il sopravvissuto che in quanto tale può raccontare. O’Brien, scrittore-pittore canadese, attraverso la vicenda di Josip Lasta, canta il poema della terra croata così come aveva già fatto raccontando il poema di Israele ne “Il libraio” attraverso la storia di David, il giovanissimo ebreo che lotta per la vita nell’inferno del ghetto di Varsavia.

Nel raccontare la drammatica odissea del croato Josip che cammina attraverso il mondo (l’ex-Jugoslavia è solo il punto di partenza delle sue peregrinazioni), O’Brien non intende solo ridare corpo e voce a chi è stato spazzato dal tritacarne della storia, non vuole solo incarnare una «letteratura della responsabilità», ma anche dire qualcos’altro, dire qualcosa di «escatologico» che, secondo le parole di Benedetto XVI, non vuol dire soltanto guardare «verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercare il definitivo». Josip è un uomo comune che però riesce, con forza sorprendente, a resistere alla confusione e alla violenza dei tempi in cui vive, e questo avviene grazie all’aiuto di altre persone e al suo amore per la terra: aggrappandosi a queste relazioni riesce a dialogare con il mondo naturale e umano, un atteggiamento che si rivelerà risorsa inesauribile e preziosa nella sua discesa agli inferi.

La storia di Josip Lasta è una storia immortale – tutto il romanzo è narrato all’indicativo presente – che riguarda ogni uomo perché se è vero che «un uomo è se stesso e non un altro», come dirà Josip nel finale del romanzo, è anche vero che ogni uomo «è un’isola nel mare dell’essere» e «le isole sono collegate, perché è dal mare che sono venute, e il mare scorre in mezzo a loro. Le separa e tuttavia le unisce, se queste imparano a nuotare». In una battuta si può dire che questo romanzo parla del duro e avvincente apprendistato di Josip Lasta (ma anche dello scrittore e forse del lettore) che, alla fine, imparerà a nuotare.

“L’isola del mondo”, di Michael O’Brien, Edizioni San Paolo, 848 pagine, 26 euro.

21 dicembre 2009

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