L’esordio di Emma, sfida tra donne

La Dante, esordiente regista di “Via Castellana Bandiera”, racconta il suo “western” metropolitano ambientato a Palermo. L’occhio che analizza il conflitto tra donne è opaco, duro, incattivito di Massimo Giraldi

Bernardo Bertolucci aveva promesso verdetti a sorpresa, e la Giuria da lui presieduta alla Mostra di Venezia lo ha accontentato. Tra i premi inaspettati va inserita la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile. Tutti aspettavano Judi Dench, nel Philomena di Frears, e invece è stata scelta l’italiana Elena Cotta. Ottantaduenne, una lunga carriera teatrale e televisiva alle spalle, la Cotta è una delle protagoniste di Via Castellana Bandiera, uno dei tre titoli in concorso per l’Italia. Nelle sale da questo fine settimana, il racconto si apre su Rosa e Clara, a Palermo per partecipare al matrimonio di un amico.

Mentre studiano il percorso, Rosa imbocca alcune strade sbagliate e si ritrova in via Castellana Bandiera, stretta e a imbuto. In senso contrario arriva una Punto guidata dall’anziana Samira, che accompagna la rumorosa famiglia Calafiore. Si trovano di fronte e sono costrette a fermarsi. Qualche incertezza e poi appare chiaro che nessuna delle due ha intenzione di cedere il passo all’altra. Comincia una logorante guerra di nervi. Alla guida della seconda auto, nel ruolo di Rosa, c’è Emma Dante (nella foto), esordiente regista del film. Nata a Palermo nel 1967, Emma Dante si dedica al teatro a partire dal 1987.

Dopo l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, sceglie un teatro più estremo e rigoroso sulla scia dell’Odin Teatret e di Tadeus Kantor. È del 2008 il romanzo Via Castellana Bandiera, da cui prende le mosse il film. Dopo la fase introduttiva, il copione resta concentrato sulla sunnominata strada, che diventa lo scenario di uno psicodramma via via più incalzante, giocato su sottili sfumature caratteriali. Tra le due donne si apre una sfida all’ultimo sguardo, sul filo di chi più regge la tensione. «Sfida» identifica un taglio espressivo che ricorda da vicino il western e le sue infinite varianti, anche psicologiche. Il dramma crescente va in scena in un clima palermitano aspro, riarso, pronto a esplodere.

Come nel western, anche qui le schermaglie odio/amore attraverso le due macchine a duello, accadono in una Sicilia identificata da parole, gesti, caratteri e sfociano in una metafora frammentaria e sfaccettata: Rosa e Samira rappresentano due Italie in lotta, Rosa il nuovo, Samira il vecchio? L’attribuzione forse non è così scontata. Facilmente si toccano significati politici, sociali, culturali (Rosa e Clara sono compagne di vita). La regia ha segni suggestivi ma un po’ sovrabbondanti. L’occhio gettato sul conflitto tra le donne è opaco, duro, incattivito, rimanda l’idea di vivere uno spazio angusto, sempre meno abitabile, una quotidianità non riconciliata. Film da vedere e, possibilmente, da affidare a qualche dibattito.

23 settembre 2013

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