L’esordio di Caruso, tra affresco e cronaca

A partire dal 15 maggio, il film del regista 28enne realizzato grazie al crowdfunding arriva nelle sale romane. Nel piccolo centro di Avila arriva la notizia che il sole si spegnerà di Massimo Giraldi

Ci sono situazioni nelle quali il cinema riesce ancora a essere una scommessa. E una sfida: quella per esempio di fare un intero film con 70mila euro, 79 tra attori protagonisti e piccoli ruoli e 500 comparse. E soprattutto quella di avere come produttori persone comuni che hanno deciso di comprare quote dell’opera ancora prima che si concretizzasse, spinti dalla fiducia o dalla voglia di investire in un progetto culturale. In termine tecnico (naturalmente inglese) lo chiamano il metodo del crowdfunding e soprattutto del crowd equity: acquistare quote che corrispondono a una percentuale degli incassi del film. Da queste premesse è nato E fu sera e fu mattina, film girato da Emanuele Caruso, 28 anni, nel cuneese nell’estate del 2012.

Dopo un più che incoraggiante periodo di rodaggio tra Alba e altri centri fino a Torino, il film arriva a Roma, a partire dal 15 maggio. La storia prende il via ad Avila, piccolo centro di 2.000 anime in collina, dove si sta festeggiando la festa di sant’Eurosia, patrona dei frutti della terra. Ma tra i presenti serpeggia una crescente inquietudine. La televisione ha trasmesso la notizia che, per un imprevedibile fenomeno naturale, il sole non avrà più l’energia da utilizzare nel riscaldamento della Terra, perderà la luce e così il mondo finirà inghiottito dal buio. Francesco, il parroco, si consulta a lungo con il sindaco, e le reazioni sono di varia natura: alcuni si chiedono se sia vero, altri restano indifferenti.

Di certo l’esistenza di ciascuno, nel bene e nel male, viene ridimensionata e costretta a cambiare. Un gruppo di ragazzi segue don Francesco nel percorso di allontanamento dal paese in vista del momento decisivo. L’esame con se stessi, a lungo rinviato, arriva a un punto di non ritorno. Da esordiente, Caruso riconosce di essersi adattato a girare un film che doveva mettere insieme il budget piccolo, la destinazione per il grande schermo e una inesperienza talvolta fonte di tremore. «Si tratta di una storia – chiarisce – che con una “scusa” catastrofica vuole mettere a nudo le vite delle persone, costringendo loro a chiedersi che significato ha il tempo che vivono». Il risultato è un film che si muove tra affresco esistenziale e piccola cronaca.

Dentro il realismo di «esterni» autentici si agita la metafora di quel pericolo che incombe su persone impreparate: come un compito da svolgere in tempi stretti, un esame da affrontare senza altri appelli. Per fare in modo che il nostro tempo quotidiano sia il tempo dello spirito, della riflessione, della condivisione. Un appello che il film, in modi talvolta un po’ acerbi, lancia, chiedendoci di rispondere, di non restare passivi.

16 maggio 2014

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