Le voci dalla piazza nel giorno in cui «il cielo ha toccato la terra»

I primi pellegrini hanno varcato il colonnato del Bernini alle cinque del mattino. In molti si sono riversati sulle zone limitrofe. Tanti i polacchi; per Giovanni XXIII sono arrivati anche dal Cile di Antonella Pilia

Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II chiamano, i pellegrini rispondono. E dopo aver vissuto una “notte bianca” di preghiera nelle chiese del centro, alle 5 del mattino di ieri, domenica 27 aprile, sono già impazienti di varcare i confini del colonnato del Bernini per prendere posizione in piazza San Pietro. Non tutti ce la fanno, costretti a riversarsi sulle zone limitrofe, ma ciascuno di loro attende che la celebrazione abbia inizio per accogliere nella fede e nella gioia (seppur con non pochi sacrifici) i due nuovi santi della Chiesa.

Alle 9.30, quando la piazza è ormai gremita e si aspetta l’arrivo di Papa Francesco, ha inizio lo sventolio di striscioni e di bandiere. Tantissime quelle polacche, bianche e rosse, issate con orgoglio dai conterranei di Karol Wojtyla. Ma anche Sotto il Monte, paese natio di Angelo Giuseppe Roncalli, non ha voluto mancare al grande giorno della canonizzazione. Con i cappellini bordeaux e i fazzoletti gialli al collo, sono arrivati a Roma in 4 pullman circa 150 compaesani del “Papa Buono”. Tra loro anche don Leonardo Zenoni, 29enne vice-parroco del paese, troppo giovane per avere ricordi diretti ma consapevole che «per noi bergamaschi Papa Giovanni XXIII è più di un’icona, un simbolo. Quello che posso testimoniare è il suo essere totalmente radicato nella fede della Chiesa e, allo stesso tempo, capace di lasciarsi plasmare dallo Spirito Santo».

Ad averlo incontrato di persona è invece Giancarlo Perico, 71 anni, dello stesso gruppo. «Sono qui dopo 51 anni. Era il 1963 quando, quaranta giorni prima della sua morte, Papa Giovanni ricevette il mio gruppo di coscritti a San Pietro e scherzava con noi parlando in bergamasco», racconta, mostrando una foto storica di quel giorno «fortunato». Mentre per don Felipe Arribas, 30 anni, di Santiago del Cile, che porta con sé una sagoma di cartoncino di Papa Giovanni, quest’ultimo «è un esempio per tutti i sacerdoti perché, quando ha detto di portare la carezza del Papa ai bambini, ci ha fatto capire che Dio è vicino alle persone».

I due Papi santi sono stati importantissimi nella vocazione della suora brasiliana Juliana Resende, 34 anni, delle Serve del Piano di Dio. In particolare Papa Roncalli, attraverso la lettura del “Giornale dell’anima”, «mi ha aiutato a capire che la santità si costruisce giorno per giorno, cercando di essere fedele nelle piccole cose». Dal canto suo, il messicano José Alberto Caballero, che a giugno terminerà gli studi per diventare sacerdote, avvertì la vocazione «dopo un viaggio di Giovanni Paolo II in Messico nel 1999», spinto dal «suo esempio di prete umile e santo».

E ancora, sono tantissimi i ricordi che legano Papa Wojtyla a un giovane padre polacco della congregazione della Resurrezione, giunto da Cracovia per festeggiare quello che era il suo vescovo. «I miei genitori sono stati battezzati dal cardinale Wojtyla – racconta commosso – e io ho letto molti suoi libri, ma ciò che più mi colpisce è la forza della sua evangelizzazione». La sua connazionale Agata ha 41 anni e vive a Maniago, vicino Milano, da oltre 20 anni. «L’ho visto in vita – racconta – e poi nel 2005 sono venuta ai funerali. Allora non ero ancora sposata in chiesa, ma quando sono tornata a casa io e mio marito abbiamo deciso di sposarci».

La piazza nel pomeriggio comincia a svuotarsi, ma c’è ancora chi ha la sua storia da raccontare. Come don Alfonso Riobo, 54 anni, che a Madrid dirige il mensile “Palabra” ed è stato «ordinato sacerdote a San Pietro proprio da Giovanni Paolo II nel 1990». O come il trentenne Francesco Fiore, di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano, che nel 2005, ai funerali di Papa Wojtyla, prestò servizio come militare dei Granatieri di Sardegna e in quella circostanza ebbe modo di «salutarlo per l’ultima volta» con grande commozione. Poi, prima di andar via, è di nuovo suor Juliana ad affidare il suo messaggio: «È un dono essere stati qui dove il cielo tocca la terra, testimoni di quello che la grazia opera con la cooperazione delle persone. Nasce il profondo desiderio che anche la mia vita sia così: una vita riuscita».

28 aprile 2014

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