Le “sue” parrocchie
Oltre trecento le comunità della diocesi che hanno incontrato in 27 anni Giovanni Paolo II. La prima visita il 3 dicembre 1978, 48 giorni dopo l’elezione di Federica Cifelli
Da San Francesco Saverio a Sant’Enrico. Dalla Garbatella a Casal Monastero. È il lungo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II attraverso le comunità parrocchiali della sua diocesi, iniziato il 3 dicembre 1978 – 48 giorni dopo l’elezione al soglio pontificio – e terminato il 17 febbraio del 2002, con la visita pastorale numero 301 alle parrocchie della capitale.
Un dialogo ininterrotto, con lo stile attento e premuroso del Pastore, quello tra il vescovo di Roma e la sua gente. Fatto di tanti incontri, di mani strette, di saluti ricevuti e scambiati. Con i bambini, soprattutto. E culminato ogni volta con la celebrazione dell’Eucaristia. Un dialogo continuato fino ai primi mesi dello scorso anno. A parti invertite, però. Quando infatti il Papa “civis romanus” – come lui stesso si era più volte definito – ha iniziato a limitare le sue uscite pubbliche nella città per motivi di salute, le parrocchie hanno iniziato a ricambiare la visita, incontrando il Pontefice a casa sua, in Vaticano.
La prima, il 15 dicembre 2002, la comunità di San Giovanni Nepomuceno Neumann. Le ultime, il 27 marzo 2004, quelle di San Giovanni della Croce, Santa Felicita e Santi Crisante e Daria. «Sono lieto di celebrare insieme con voi l’Eucaristia, proseguendo, in modo diverso, la bella consuetudine della visita alle parrocchie», aveva detto il 28 febbraio dello scorso anno riprendendo gli incontri con quattro comunità del settore Sud. Questi appuntamenti, aveva continuato ancora, «mi permettono di manifestare l’affetto che mi lega più intensamente a voi, cari fedeli della diocesi. Non dimenticatelo mai: voi mi state a cuore! Siete la porzione di popolo cristiano affidato, in modo speciale, alle mie cure pastorali». Non lo hanno dimenticato i sacerdoti, i membri dei Consigli pastorali, i giovani, i bambini, le famiglie delle comunità incontrate per oltre 25 anni.
«Parroco» dell’Urbe. Così lo hanno conosciuto e riconosciuto ogni volta, nel pranzo in Vaticano con i sacerdoti, insieme al vescovo di settore e al cardinale vicario, per prepararsi all’abbraccio con la comunità, in genere il mercoledì precedente la visita. Nelle risposte agli interventi curiosi e a volte impertinenti dei bambini, come nel dicembre del 1984 quando a Santa Maria Regina degli Apostoli alla Montagnola un ragazzino lo salutò con un «Santità, due a zero», riferendosi ad una partita Italia-Polonia appena giocata. E lui si divertì tanto da raccontare poi agli altri bambini quel saluto, ringraziandoli per «l’interesse» che dimostravano per la sua patria.
E ancora, i giovani, da sempre interlocutori privilegiati di Giovanni Paolo II, e i membri dei Consigli pastorali parrocchiali. A loro, nelle visite in parrocchia, così come nelle udienze concesse alle 16 comunità ricevute in Vaticano, sono andate ogni volta le indicazioni del «parroco» Wojtyla. Progetti di speranza e di futuro. Per i più piccoli da educare, per gli anziani da sostenere, per i poveri e gli emarginati, ma anche per le stesse parrocchie, punti di riferimento preziosi soprattutto per quelle periferie prive di risorse e di strutture. La risposta: un entusiasmo di lacrime e sorrisi. Una gioia contagiosa che cresceva ogni volta nell’abbraccio della folla. Ricambiando la premura del Papa, spesso attraverso le parole “complici” dei bambini. Come Alessandra, che nel ’95 a San Gregorio Barbarigo aveva 11 anni. «Sappiamo che non è facile fare il Papa – gli disse -. Ma non avere paura, perché preghiamo per te».
3 aprile 2005