Le nuove droghe: tra i 14 e i 24 anni l’età più a rischio

Quando la tossicodipendenza passa dalle pasticche. Diffusi i dati della ricerca promossa dalla Provincia di Laura Badaracchi

Ecstasy, ketamina, Ghb, ma anche cocaina: sostanze assunte dagli adolescenti, spesso correlate tra loro o con le bevande alcoliche. Uno stile di vita «trasversale a gruppi sociali e aree geografiche, nella convinzione che prendere una pasticca, ad esempio, non esponga al rischio della tossicodipendenza». Così lo psicoterapeuta Antonio De Filippo, presidente dell’Istituto di studi psicosociali “La maieutica – ricerca e formazione”, sintetizza il fenomeno delle nuove droghe che si diffondono tra i giovani tra i 14 e i 24 anni dei Comuni del litorale romano. Nella ricerca “Rumori di fondo”, promossa dalla Provincia di Roma e svolta dall’Istituto, su 600 giovani interpellati ben uno su 4 dichiara di consumare cocaina e uno su 5 droghe inalanti, uno su 7 ecstasy; ma le percentuali aumentano ancora quando gli intervistati riferiscono sulla diffusione delle droghe tra i propri amici. «La maggioranza ritiene che assumere cocaina o ecstasy non significa essere tossicodipendenti», evidenzia l’indagine.

L’assessorato provinciale alle politiche sociali e per la famiglia ha promosso la scorsa estate la ricerca sul campo, nei luoghi di incontro e di aggregazione giovanile sul litorale romano. «Il fenomeno delle nuove tossicodipendenze sta assumendo anno dopo anno le caratteristiche di un’emergenza sociale – si fa notare nella ricerca -. È impossibile definire un profilo dell’adolescente consumatore di droghe, essendo la diffusione delle nuove tossicodipendenze trasversale a gruppi sociali, contesti culturali e geografici. Esiste una scarsa consapevolezza nel giovane consumatore che l’assunzione di droghe “storiche”, come la cocaina o, di più recente diffusione, l’ecstasy, la ketamina e le sostanze sintetiche, possa essere assimilabile a una tossicodipendenza». In particolare, è diffusa la convinzione – ancor più che negli eroinomani – che «il rapporto con la sostanza, ad esempio le pasticche di ecstasy, possa essere controllato, che si possa smettere quando si vuole, che tale comportamento non sia equiparabile a una tossicodipendenza perché “lo fanno tutti”». Per questi ragazzi i veri “tossici” sono soltanto gli eroinomani. Tuttavia conoscono bene, nel dettaglio, le caratteristiche di ciascuna droga, la composizione e gli effetti piacevoli o negativi della sostanza che assumono, così come i rischi che corrono. Ma negano di essere dipendenti: la consapevolezza è analoga a quella di chi consuma farmaci e ne conosce gli effetti collaterali.

La mappatura delle aree maggiormente a rischio per l’incidenza del consumo di nuove droghe, in rapporto con i luoghi estivi di divertimento giovanile, le modalità di consumo e i valori culturali connessi all’assunzione delle sostanze: sono alcuni punti chiave dell’indagine. I ragazzi intervistati hanno risposto ai questionari presentati da un’equipe di psicologi in discoteche all’aperto, spiagge e locali notturni. La maggioranza ha dichiarato di fare uso delle sostanze stupefacenti soprattutto in gruppo e «quando ci si diverte, per essere più simpatici e più “sciolti” nel comunicare».

«La legge colpevolizza i tossicodipendenti, che hanno paura di essere schedati; così si allontanano dai servizi sia i vecchi utenti eroinomani, sia i nuovi poliassuntori e i cocainomani, nuovi consumatori di sostanze che vengono contattati per strada ma poi ci chiedono di incontrarli nelle loro case. Un problema comportamentale, nel caso dei ragazzi che fumano spinelli, diventa così un problema penale», riferisce Germana Cesarano, psicologa, presidente della cooperativa Magliana 80. Sono gli stessi intervistati, in “Rumori di fondo”, a chiedere interventi di prevenzione sulle droghe nelle scuole superiori, per fornire ai docenti informazioni sulle caratteristiche del fenomeno, e agli adolescenti punti di riferimento tra gli adulti. Occorre infatti affrontare «le problematiche che costituiscono terremo di coltura dell’approccio alla droga – evidenzia l’indagine -: dalla mancanza di dialogo in famiglia alle paure connesse alla sessualità, dalla gestione del tempo libero al rapporto con il corpo. In questo senso la scuola, da osservatorio privilegiato del disagio del minore, può divenire luogo di sperimentazione di un modello d’intervento: laboratori socio-affettivi il cui obiettivo diventi l’applicazione territoriale, anche extrascolastica, proprio nei contesti di aggregazione e divertimento».

31 gennaio 2006

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