Le Guay, commedia nella Parigi degli anni Sessanta

Si intitola “Le donne del 6° piano” e narra le vicende di un uomo di successo alle prese con le nuove vicine spagnole. Risate e sentimenti di Massimo Giraldi

Da qualche tempo il cinema francese ha riscoperto gli anni ’60. Dopo “Potiche”, visto lo scorso anno a Venezia, arriva in sala un altro film che merita di essere segnalato. Si intitola “Le donne del 6° piano”, diretto da Philippe Le Guay, nome poco noto in Italia ma attivo da tempo oltralpe.

Ecco Parigi nel 1962, un quartiere elegante, un palazzo importante, segno di tenore di vita elevato. Qui abita Jean Louis Joubert, uomo di successo nel ruolo di agente di cambio e rigoroso padre di famiglia. Costui si accorge un giorno che un gruppo di donne spagnole vive al sesto piano dell’immobile di sua proprietà. Una di queste, Maria, entra a servizio a casa Joubert, e in breve diventa una presenza che cambia la metodica vita quotidiana di Jean Louis: impacci, imbarazzi, fraintendimenti, ma l’uomo si trova a fare i conti con un nuovo se stesso desideroso di scoperte e conoscenze.

Devono trascorrere varie vicissitudini, bisogna che Jean Louis faccia lo sforzo di entrare nei bisogni pratici e affettivi di queste signore di varia età per concludere che è il momento di prendere una decisione forte. Eccolo allora lasciare Parigi e partire per la Spagna alla ricerca di Maria, nel frattempo tornata a casa.

«La trappola da evitare ad ogni costo – tiene a sottolineare il regista – era di cadere in una storia in cui il datore di lavoro si innamora della sua domestica». È vero, si sarebbe caduti nel banale, nel già visto mille volte. Se l’evento comunque accade, Le Guay riesce a renderlo per niente stereotipato, ossia non fine a se stesso: una linea portante lungo la quale si sviluppano le premesse per nuove conquiste di conoscenza, di affetti, di libertà. Una sorta di recupero di se stessi in un contesto che cambia forma e prospettiva. Muovendosi con ammirevole misura in quel territorio nel quale una cornice autentica (la Parigi dei primi ’60) si incontra e si fonde con timidi ma precisi accenti di favola, il copione acquista credibilità e capacità di riflessione su temi mai superflui o secondari. Il cambio di prospettiva, alla scoperta di una umanità fuori dalla propria porta, la voglia di accostarsi ad una qualche verità dei sentimenti nascono da uno sguardo più pulito sulla vita quotidiana, senza obblighi né pregiudizi.

Non c’è dubbio che il film deve molto alla sensibile presenza di Fabrice Luchini, che costruisce un Jean Louis Joubert vero e in linea con il suo tempo, tanto attento alle convenzioni sociali quanto pronto non ad eliminarle bensì ad allargarne i benefici a quelle «amiche» trovate all’improvviso. Alla fine, una bella fusione di problematicità, ironia, satira sociale. Una vera commedia.

13 giugno 2011

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