L’Aquila, tra paura e silenzi

Dalla tendopoli di Collemaggio al campo allestito nella stazione ferroviaria del capoluogo abruzzese. L’impegno dei volontari nel gestire la vita quotidiana nel dopo terremoto di Emilio Fabio Torsello

Fuori dalla tenda verde militare, adattata a chiesa da campo, un’animatrice della Croce Rossa gioca con un bambino ospite della tendopoli di Collemaggio, alle spalle dell’omonima basilica sfondata dalla scossa della notte tra domenica 5 e lunedì 6 aprile. Le tende blu e bianche sono state montate in poco meno di una giornata. «Siamo partiti lunedì mattina dalla Toscana e quando siamo arrivati il piazzale era completamente invaso dalle automobili dove le famiglie si erano rifugiate dopo la scossa – racconta la coordinatrice Anna Matteoni –, adesso possiamo ospitare circa 600 persone, più altri 100 volontari».

Tra gli operatori anche alcuni laici, sacerdoti e suore francescane, giunte all’Aquila per il sostegno spirituale ai terremotati. Indaffarato tra le tende, ecco Leonardo Becchetti, presidente nazionale delle Comunità di Vita Cristiana (CVX): «Siamo qui per dare un conforto agli aquilani – spiega – ed è sorprendente vedere come nella tragedia le persone riscoprano un sentimento comunitario, prima probabilmente ritenuto marginale. È un valore che tiene uniti quanti hanno perso tutto. Tra poco – conclude – partiamo per celebrare Messa a Onna. Sono questi i momenti in cui le persone vivono maggiormente la fede». Verso l’uscita del campo, intanto, in cucina i volontari preparano il pranzo e la mensa inizia a popolarsi.

Fuori la città è deserta. Interi palazzi con le pareti esplose in pochi attimi al passaggio della scossa, finestre mute, sconocchiate e vuote. Le anime di ferro del cemento armato piegate verso l’esterno, le travi storte o collassate sul pavimento. In diversi punti della città si riesce perfino a distinguere l’interno delle stanze, sbucciate delle pareti: una libreria con i volumi rimasti in bilico sullo scaffale, un letto con la coperta rossa, una sedia impagliata su cui è crollato un enorme mattone arancione, incrostato di cemento.

È la vita quotidiana di una famiglia fotografata e resa immobile dal passaggio della scossa. A L’Aquila il tempo lo vedi, lo tocchi, lo avverti. Il passato e il futuro si misurano nell’immobilità di ciò che resta delle abitazioni, del vissuto che contenevano e del silenzio che adesso le governa. La vita, per chi si è salvato, si è spostata ai margini, fuori città.

Uno dei campi più attrezzati è stato allestito alla stazione ferroviaria dell’Aquila. Ci si arriva costeggiando quelle che fino alle 3,32 di lunedì 6 aprile erano le mura di cinta della cittadella medioevale e che adesso giacciono sbriciolate lungo il terrapieno. Nei vagoni messi a disposizione da Trenitalia i volontari dell’Associazione Nazionale Carabinieri hanno allestito un ricovero di fortuna. C’è una mensa al chiuso e i bagni sono quelli della stazione. «I Vigili del Fuoco hanno confermato l’agibilità di questi locali e così ci siamo attrezzati – racconta un ex-carabiniere venuto da Torino –; c’è un punto medico e circa 800 posti disponibili nei vagoni». Peccato che di giorno le carrozze siano roventi e durante la notte i sensori del riscaldamento attivino di conseguenza l’aria condizionata. «È un problema che stiamo cercando di risolvere con l’aiuto dei tecnici – spiega il carabiniere mentre mi accompagna a vedere il campo –. L’ideale sarebbe lasciar raffreddare i vagoni e accendere il riscaldamento a notte inoltrata». Negli scompartimenti, le tracce di un sonno recente. Qualche bottiglia d’acqua, cuscini sparsi e le coperte ammassate ai piedi del “letto”. I vagoni sono puliti, i bagni disinfettati. «Nelle prime ore successive al terremoto – continua il carabiniere – ci siamo trovati davanti al dramma nel dramma: abbiamo sorpreso alcune persone in un negozio che riempivano bottiglie con l’acqua del rubinetto e poi andavano in giro per i parcheggi a venderle a quanti si erano rifugiati nelle automobili».

A pranzo la fila è composta e silenziosa. I volontari di Legambiente offrono pasta al sugo, pomodori, mozzarella o tonno. E la frutta si può scegliere: arance o mele. A tavola quasi nessuno parla. «Per ora i rifornimenti arrivano con regolarità e i volontari pure – spiega il carabiniere salutandomi –. Si spera solo che tra qualche mese gli italiani si ricorderanno ancora delle vittime e degli sfollati provocati da questo terremoto».

15 aprile 2009

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