L’amore virtuale e la sfida del reale

di Angelo Peluso

Internet apre nuovi universi di conoscenza ed esperienza creando diverse forme nel sentire il rapporto con sé stesso, con gli altri e con il mondo. La Rete cattura ed esalta modificando il registro delle nostre possibilità mentali e sensoriali, ma alle facilitazioni consentite dalla tecnologia si affianca il rischio di una sorta di “fobia dell’incontro”: la paura e difficoltà di incontrare l’altro. Nel monitor, c’è sempre qualcuno o qualcosa con cui “parlare” o interagire, ma questi “amori senza amore”, citando una raccolta di novelle di Pirandello, finiranno per favorire impropri “legami di attaccamento” per mascherare bene i propri vissuti interiori fino ad eliminare la sensibilità emotiva e forse a limitare le capacità intellettuali.

È paradossalmente proprio la bassa soglia di tolleranza della nostra società che porta a cercare “relazioni tranquille e controllabili” dietro un video. La sessualità vissuta on line crea un nuovo universo attraverso suoni e immagini prodotti da un computer; mondi dove è possibile essere o fare qualunque cosa si voglia, in questo modo la realtà virtuale si impegna a interpretare e realizzare le proprie fantasie, ma è sempre la solitudine la grande protagonista.

La speranza dell’incontro con l’anima gemella è per tutti un sogno che nasce dall’adolescenza, ma oggi spesso quel sogno si cerca in rete. Sempre più insoddisfatti della quotidianità, della difficoltà di costruire relazioni, della crescente intolleranza nei conflitti interpersonali e verso tutto ciò che è diversità, il sogno si realizza nella fantasia. Ore ed ore passate al pc, con la continua preoccupazione di controllare la posta elettronica per vedere se arrivano messaggi dal/dalla nuovo/a sconosciuto /a appena entrata nella propria vita on line crea una disillusione nei confronti della vita quotidiana, che aumenta con il crescere del tempo “vissuto” in rete.

In questo contesto diventa quindi estremamente facile non strutturare alcuna relazione, proprio perché sia i contenuti sia la definizione dei rapporti sono di per sé aleatori, mancando qualsiasi marca di contesto. Può bastare un clic per interrompere tutto o per passare da una persona ad un’altra cambiando rapidamente la propria identità e inventando nuovi scenari relazionali.
Si pensi al contrario alla fondamentale importanza del “guardarsi” per poter stabilire una reale vicinanza emotiva tra due persone.

I confini spazio-temporali in rete sono completamente annullati per cui si può negare la propria storia personale e inventare continuamente diverse biografie creando nuove identità per concretizzare un altro modo di considerare il “Sé” , non più come unitario, ma multiplo.
Diventa estremamente facile “parlare e non parlare “di se stessi, fare cose che altrimenti ci sarebbero estremamente difficili nella vita quotidiana, diventare consiglieri di un’altra persona magari su problemi che non riusciamo assolutamente a risolvere per noi stessi, giudicare e valutare con un’apertura che sconvolge i nostri tradizionali punti di riferimento, vivere una libertà che ci neghiamo costantemente nelle nostre giornate.

Si riesce con molta facilità a costruirsi un’immagine di se stessi, che diventa una illusione per l’altro: questo gioco senza fine può essere gratificante, ma solo fino a quando la vita quotidiana ci ripropone duramente come la vera crescita personale debba avvenire per altri canali. In rete riusciamo a costruire situazioni accomodanti che ci aiutano a non avere conflittualità e piano piano, quasi senza accorgersene, diventiamo sempre più intolleranti nelle relazioni vissute giorno per giorno. In altre parole si alza sempre più la nostra soglia di tolleranza al conflitto, convinti che solo il nostro “fantastico” interlocutore ci conosca veramente e sappia tirar fuori il meglio di noi.

Accanto al dilagare della virtualità, l’altro mito della modernità è l’apparire: i massa media ci riversano ogni giorno modelli pre-confezionati di riferimento per aiutarci a essere vincenti. Si sta dando sempre più peso all’ “immagine costruita” che non al valore di una persona. Paradossalmente cerchiamo di comunicare “con un ipotetico altro” attraverso il culto della nostra persona per poter lasciare il segno del nostro saper apparire.

A questo si aggiungono i mille sortilegi per negare a se stessi il passare del tempo. L’apparenza estetica sembra essere il primo parametro di valutazione della persona, a causa anche del fatto che i mass media ci bombardano costantemente di immagini, di suoni, di colori, di sembianze. Tutti i modelli che ci vengono proposti appaiono e ci ammaliano della loro presenza. Tutti o quasi tutti gli idoli moderni sono di bella presenza, al di là dei meriti o delle virtù che possono possedere. “Apparire prima di essere” sembra l’imperativo dettato dalla società.

Per questo abbiamo bisogno di parole antiche e nuove nello stesso tempo per rianimare questa società meccanizzata: viviamo in una sorta di età oscura, abilmente illuminata da luce artificiale, in modo che nessuno possa dire quanto effettivamente sia diventato buio. Riteniamo che l’apparenza estetica sia importante: è certamente un desiderio ed anche un bisogno quello di suscitare l’interesse visivo nelle persone così come è altrettanto importante presentarsi in modo decoroso a partire dall’aspetto fisico: questo non deve diventare né una schiavitù né un parametro preliminare e principale di valutazione. Il punto forse sta nel sapersi accettare, nell’accettare la propria imperfezione.

L’incontro con un’altra persona – da quello di amicizia a quello sentimentale – rappresenta sempre un “progetto d’amore” che influenzerà la nostra storia personale e farà parte di un patrimonio che riguarda l’intera società. È fondamentale ritrovare l’essenza divina della persona, ritrovare i significati più profondi della vita, è basilare ritrovare Dio perduto nella banalità dei mass media imperanti. Come una immagine ad effetto non potrà mai riempire un vuoto interiore , altresì non potrà mai essere la virtualità a scrivere la nostra storia di vita e a dare calore e colore ad ogni incontro e emozione nella vita

4 giugno 2010

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