La scuola si fa con gli insegnanti

di Filippo Morlacchi

La Fondazione Giovanni Agnelli, istituto che ha lo scopo di «approfondire e diffondere la conoscenza delle condizioni da cui dipende il progresso dell’Italia in campo economico, scientifico, sociale e culturale» (Statuto) ha recentemente pubblicato un importante “Rapporto sulla scuola in Italia” (Laterza, Roma-Bari 2009). John Elkann, vicepresidente della Fondazione, spiega nella prefazione il motivo di questo interesse per la scuola: «Si ritiene che [l’Italia”> abbia un serio problema di rinnovamento delle proprie élites. Da dove cominciare a cambiare le cose, se non da una migliore qualità della scuola?» (p. IX).

Circa 25 anni fa un analogo rapporto – significativamente intitolato “A Nation at Risk” – lanciò un grido di allarme negli Usa. La ricerca si chiedeva se le carenze del sistema educativo americano non stessero mettendo a rischio il futuro dell’intero Paese. Ne nacque uno sforzo collettivo per indagare lo stato della scuola in America, e si produssero una serie di cambiamenti opportuni ed efficaci. Oggi ci si chiede qui da noi: la scuola italiana è tanto inadeguata da mettere a rischio il futuro del nostro Paese? Senza rivelare nel dettagli ciò che il lettore potrà trovare leggendo il corposo e documentato volume (la ricerca ha coinvolto ben 30 ricercatori), si può riassumere il pericolo intravisto dagli studiosi in due dati principali: l’attuale scuola italiana acuisce il divario fra il Nord e il Sud e non riesce a valorizzare il merito, paralizzando così la mobilità sociale e rendendo assai difficile l’emergere dei migliori.

Il Rapporto si presenta come il primo di una serie annuale, e ciò manifesta che la ricerca è il frutto di una scelta tutt’altro che estemporanea – come si potrebbe esser tentati di pensare, dato lo spazio occupato dalla scuola sui mass media di questi mesi – ma al contrario ben ponderata e orientata al medio periodo; scelta da approvare senza riserve, perché il futuro di tutti si fonda sulla formazione delle nuove generazioni. Non meno interessante è il fatto che delle circa 250 pagine di testo, quelle centrali e più numerose siano tutte dedicate agli insegnanti.

Anche questa sembra infatti una scelta decisamente opportuna, perché la qualità della scuola dipende in larga misura dalla qualità dei suoi insegnanti. «Gli esercizi di ingegneria istituzionale, organizzativa e didattica – dichiara Andrea Gavosto, direttore della Fondazione e curatore della ricerca – non sono inutili per la nostra scuola, così come non lo è la riflessione sui saperi scolastici e sui contenuti dei curricoli; senza buoni insegnanti, però, i primi restano inerti e la seconda sterile». In altre parole, per migliorare la scuola, bisogna lavorare in primo luogo sugli insegnanti. Senza cedimenti al gergo delle aziende, davvero gli insegnanti sono la prima e fondamentale «risorsa umana» della scuola. E bisogna dunque evitare lo “spreco” anche di queste risorse.

Da un lato è importante risollevare il prestigio sociale della professione, così pesantemente appannato, in modo che una nuova generazione di giovani motivati e ben preparati possa desiderare di intraprendere questa professione. L’insegnamento – elementare o superiore che sia – non dovrebbe mai essere visto come un mediocre ripiego per laureati che non riescono ad emergere in altri settori professionali, bensì come opzione primaria, nobile e allettante. Parallelamente, occorre incentivare – nei modi giusti – coloro che già operano nella scuola, affinché il loro servizio sia all’altezza del compito e del nostro tempo. Temi delicati, ma imprescindibili. Si comprende perché ogni tentativo di riforma della scuola che cerchi di scavalcare il corpo docente invece che di far leva su di esso, è destinato, se non al naufragio, quanto meno ad avere vita difficile.

La Lettera “Educare con speranza” del cardinale Vicario Agostino Vallini, pubblicata poco prima che il Rapporto venisse reso pubblico, compie una scelta analoga a quella della ricerca e dimostra una piena consapevolezza del ruolo strategico degli insegnanti, perché si indirizza direttamente e principalmente a loro. La società italiana percepisce l’acuto bisogno di una scuola differente e migliore; la Chiesa non rimane insensibile alla questione, come già la Lettera sul compito urgente dell’educazione del Papa (gennaio 2008) aveva dimostrato, invitando i cristiani di Roma a rimboccarsi le maniche. La Lettera “Educare con speranza” indica il primo passo concreto da fare in questa direzione: valorizzare gli insegnanti, affinché diano il meglio di sé nel loro lavoro. Per la Chiesa di Roma prestare attenzione alla scuola vuol significare in primo luogo dedicare tempo e cura pastorale agli insegnanti. La Chiesa vuole ringraziarli per il loro compito, pieno di soddisfazioni, ma irto di difficoltà. Vuole far sentire loro il calore di un “grazie” sincero, quel grazie che forse solo i bambini sanno ancora dir loro con un sorriso.

Per il prossimo futuro si annunciano pesanti tagli di risorse finanziare per la scuola, e primi a farne le spese saranno proprio i docenti. Certamente alcuni insegnanti pigri, frustrati, demotivati e meritevoli di sanzioni nella scuola ci sono. Ma per fortuna, alla Chiesa non spetta il severo compito del giudice o del censore, bensì quello della madre e della maestra: la sua missione è promuovere il bene che c’è, rimotivare gli insegnanti stanchi, restituire fiducia a quelli tentati di tirare i remi in barca e ricordare a tutti che il loro compito è straordinariamente delicato e prezioso. Se «educare con speranza» è l’obiettivo, seminare la speranza nel cuore degli insegnanti è lo strumento.

Certo, le condizioni di lavoro degli insegnanti sono oggettivamente difficili (solo un esempio: dal Rapporto emerge che mentre il guadagno medio dei laureati italiani aumenta in cinque anni di circa il 29%, quello degli insegnanti cresce solo dell’8,4%); ma prima ancora di tutelare gli interessi materiali degli insegnanti, l’impegno più urgente (e forse anche quello più realistico) mi sembra quello di restituire alla professione docente quella dignità che oggi sembra quasi dissolta. Perché la scuola è fatta, in primo luogo, dai suoi insegnanti: tutto il resto – strutture, libri, sussidi didattici… – viene dopo.

«Senza l’intima convinzione che ogni singolo essere umano è in se stesso un valore inestimabile, in quanto persona, e che è possibile sperare in un futuro migliore, cercando di costruirlo, nessuno investirebbe la propria vita nell’impegno educativo», scrive ancora il cardinale Vallini. La Chiesa di Roma cerca di sostenere questa duplice convinzione, affinché ogni insegnante – che sia cattolico, diversamente credente o anche non credente, poco importa – possa dare il meglio di sé nel suo lavoro. E questo è certamente il primo passo verso una scuola migliore.

16 marzo 2009

Potrebbe piacerti anche