La bellezza creata

di Rebecca Nazzaro

Vivere la “bellezza della natura”, avere la consuetudine di frequentarla e interrogarne il senso, è il modo per riconciliarci con il nostro essere creature chiamate a contemplare la Bellezza creata. Solo così si rianima la gioia della nostra presenza nel mondo e la bellezza della natura ci risveglia ad approfondire la comprensione della vastità e della pienezza del reale, il senso di appartenenza viva a un “cosmo” (κοσμοσ = ordine), cioè a un ordine naturale, a un “tutto” dotato di senso. A differenza della fruizione del bello nell’arte, la contemplazione della natura è inseparabile dal nostro viverci dentro, dal nostro esserne parte; si sta sulla terra, infatti, insieme con gli elementi naturali, con la capacità di accogliere e ospitare in noi l’incanto delle loro multiformi espressioni e provare un intimo senso di comunione.

L’uomo moderno, abituato all’idea di natura che gli ha confezionato la “Tecnica”, cioè non più luogo di Rivelazione, ma ottusa forza materiale, sembra aver rinunciato alla ricerca del suo senso e del suo fondamento, quasi accettando l’idea di un mondo inerte, sbagliato, senza consistenza e stabilità; ma, passando da questo inquieto e freddo nichilismo, fatto di smarrimento e solitudine, alla serenità e al tepore della Fede, si può arrivare a ravvisare la presenza di una continuità narrativa nel tessuto dell’esistente e, così, a riconoscere le cose nella loro trasparenza metafisica.

Vincere la distrazione, incoraggiare una capacità di attenzione alla bellezza del mondo è importante per poter comprendere il senso profondo del gesto del Creatore; Dio, in Gesù Cristo, è Persona accogliente, generosa, capace di farci dono di così compiuta pienezza e bellezza, in uno spirito di assoluta gratuità e benevolenza: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6, 26.28,29).

Stupirsi, ad esempio, dello sbocciare dei fiori, dell’alba silenziosa, del tramonto rosseggiante, ci porta, così, a riscoprire il bello, con vivo senso di gratitudine e devozione per il Creato.

Al di sopra della visione variopinta e scomposta della nostra città, la zona della basilica di santa Sabina sul colle Aventino può essere per noi il luogo dove lasciarci affascinare dalla bellezza della natura e vivere un’ esperienza di sospensione e di ristoro da un presente che brucia nell’affanno e nell’ansietà. Sorprende la consonanza e l’ideale dialogo tra la luce opaca e rarefatta della basilica di santa Sabina e quella luminosa ed espansa dell’attiguo giardino degli aranci; sorprende il silenzio pieno, eloquente ed evocativo, della spiritualità della pietra, custodia di un tempo passato ma sempre presente, e la gioiosa espressione dello spazio aperto, libero e colorito. L’esito di questa bellezza non è quello di una quiete ma quello di uno sconfinamento: apre un varco verso la trascendenza che porta alla comprensione di Dio che abita anche in un frammento, in uno scorcio di veduta.

19 febbraio 2008

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