Iraq, l’appello del patriarca caldeo Sako

Due religiose e 3 giovani rapiti a Mosul. Le parole ai capi religiosi musulmani: fate «tutto il possibile» per ottenere il rilascio. Il sinodo annuale della Chiesa caldea. La vicinanza della Chiesa di Roma di F. Cif.

Si è rivolto direttamente a «coloro che detengono le suore e gli orfani rapiti a Mosul 3 giorni fa», il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako, per chiederne la liberazione. Dal 28 giugno infatti si sono persi i contatti con suor Atur e suor Miskinta, sue religiose caldee delle Figlie di Maria Immacolata, che gestiscono una casa famiglia per organi a Mosul, nei pressi dell’arcivescovato caldeo. Ieri, martedì 1° luglio, in un appello pubblico ha espresso tutta la sua preoccupazione per la sorte delle 2 suore e dei 3 giovani (due ragazze e un ragazzo), e in particolare ai capi religiosi musulmani e agli sheikh delle tribù sunnite di Mosul ha chiesto di fare «tutto il possibile» per ottenere il rilascio dei sequestrati.

Nel suo appello, il patriarca caldeo cita i versetti del Corano che indicano a tutti i credenti di trattare bene i monaci e gli orfani, ricorda che i cristiani «furono i primi a ricevere i conquistatori musulmani 14 secoli fa» e che nell‘Iraq di oggi i cristiani in quanto tali non si identificano con nessuno schieramento politico. «Questo – conclude – è il Mese del Ramadan, mese di misericordia e di carità. Preghiamo tutti di far tornare in pace le suore e gli orfani rapiti».

Della situazione dell’Iraq si è parlato nei giorni scorsi anche nel sinodo annuale della Chiesa caldea, che si è svolto nel Kurdistan iracheno proprio a causa dell’invasione di alcune arre del Paese da parte dei miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). «L’Iraq – aveva dichiarato il patriarca Sako – continuerà ad essere un unico stato ma solo se lo vorranno l’Occidente e i vicini Iran, Qatar, Turchia e Arabia Saudita». Tra le priorità, al momento, organizzare e assicurare gli aiuti ai rifugiati. Per questo, ha spiegato ancora Sako, «abbiamo creato una commissione di cinque vescovi appartenenti a diocesi delle aree colpite», per cercare di rispondere alle esigenze di migliaia di sfollati.

«Al momento la situazione è ancora in divenire, ma purtroppo crediamo che peggiorerà». Per il patriarca non vi sono speranze che in futuro l’Iraq, attualmente diviso tra sciiti, sunniti e curdi, possa tornare all’unità di un tempo. «Forse il paese manterrà un’unità simbolica, ma sarà di fatto diviso in tre zone economicamente e militarmente indipendenti». Con il pericolo dell’Isis, che «vuole creare un califfato e islamizzare il mondo». Intanto l’instabilità cresce, e si tradurrà probabilmente in una maggiore emigrazione di cristiani. «Onestamente – le parole del patriarca – noi vescovi siamo un po’ smarriti. Forse il nostro futuro sarà qui nel Kurdistan, ma vi sono anche molti fedeli che continuano a vivere a Bagdad. Vedremo. Al momento non possiamo far altro che attendere il corso degli eventi».

Quanto accade oggi in Iraq, precisa il prelato alla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, non è legato alla persecuzione cristiana, giacché anche molti musulmani sono dovuti fuggire da Mosul e dalle aree circostanti. Il probabile nuovo esodo di fedeli desta tuttavia grande preoccupazione: «In sole due settimane più di venti famiglie hanno lasciato il villaggio a maggioranza cristiana di Alosh. Stiamo perdendo la nostra comunità e tra dieci anni in Iraq potrebbero rimanere non più di 50mila cristiani». La strada da percorrere però non è quella dell’intervento militare degli Stati Uniti, ma quella di educare la popolazione alla libertà e alla democrazia nelle scuole, nelle moschee e attraverso i media. «Non si può importare semplicemente il modello democratico occidentale». Un Occidente, tra l’altro, “distratto” dai mondiali. «Ci sono alcuni cristiani che ci sostengono – osserva senza nascondere la delusione – ma per il resto si tratta soltanto di osservatori impassibili. Più interessati ad una partita di calcio che al dramma che si sta consumando in Iraq o in Siria».

Per rompere questo muro di indifferenza la Chiesa di Roma si ritrova oggi, mercoledì 2 luglio, nella basilica dei Santi Apostoli per una veglia di preghiera presieduta dal cardinale Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, insieme alla comunità siriana e a quella irachena. Un appuntamento organizzata dal Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e dall’Ufficio per la pastorale delle migrazioni del Vicariato, insieme alla “Finestra per il Medio Oriente”. «Facciamo nostri gli appelli per una ricerca di dialogo per salvare città come Aleppo – dichiara il vescovo Matteo Zuppi, incaricato del Centro diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese – e alziamo la nostra invocazione al Dio della Pace perché ispiri vie di dialogo e di umanità per alleviare fin da subito le enormi e inaccettabili sofferenze».

2 luglio 2014

Potrebbe piacerti anche