In mostra i “Giusti dell’Islam”

Alla Camera l’esposizione promossa da Pimedit onlus e curata da Bernardelli. Dieci storie tra le settanta dei musulmani ricordati allo Yad Vashem di Matteo Raimondi

Se l’opinione comune che si sta diffondendo come conseguenza dei contrasti tra israeliani e palestinesi è che le religioni sono causa di violenza e odio, per evitare di essere tacciati di esasperato buonismo è bene affidare ogni possibile obiezione alla storia. Una storia fatta di uomini e avvenimenti, peraltro cosparsa delle ceneri di una guerra che sembra infinita. Spolverare il ricordo di quei nomi e quei fatti è l’obiettivo della mostra “Giusti dell’Islam”, inaugurata ieri (14 ottobre) a Roma nella sede espositiva della Camera dei Deputati di vicolo Valdina, alla presenza del questore Antonio Mazzocchi. L’esposizione, promossa dalla Fondazione Pimedit onlus e frutto della collaborazione tra la redazione di Mondo e Missione e l’Ufficio di educazione alla mondialità del Centro di cultura e attività missionaria del Pime (Pontificio istituto missioni estere) di Milano, proseguirà fino al 23 ottobre (da lunedì a venerdì dalle 10 alle 18).

Curata da Giorgio Bernardelli, giornalista di Mondo e Missione e scrittore, la mostra vuole aiutare a riscoprire alcune storie eccezionali. Le storie dei “Giusti dell’Islam”, che durante la persecuzione nazista hanno messo a repentaglio la propria stessa vita aiutando alcuni ebrei a evitare la deportazione. Ripartire dalle loro vicende può aiutare a spazzare via quel che di retorico c’è nel discorso sulla guerra in Medio Oriente. “Giusti dell’Islam” vuole porre l’accento su quei valori che anche oggi possono rendere possibile il dialogo tra diverse identità. I 25 pannelli dell’esposizione raccontano le intense storie di dieci tra i settanta nomi musulmani ricordati allo Yad Vashem (il Museo memoriale della Shoah) di Gerusalemme. Nomi di donne e uomini albanesi, bosniaci, turchi, tunisini e iraniani raccolti secondo un severo criterio storiografico.

«Sono lieto – afferma Antonio Mazzocchi aprendo l’inaugurazione – di partecipare a quest’evento a nome del presidente della Camera Gianfranco Fini. Il fatto che l’esposizione sia giunta alla Camera non è casuale, così come non è casuale che questa iniziativa sbarchi nella Capitale alla vigilia del 16 ottobre. È un segno che le istituzioni non possono restare indifferenti; che la politica deve favorire iniziative di pace». «Quelli dell’integralismo e dell’odio – prosegue Mazzocchi – sono meccanismi di un’identità malata, figli dell’intolleranza ideologica manifestatasi nel secolo scorso che sta contaminando anche il nostro tempo. Le religioni sono l’antidoto a questi veleni».

Giorgio Bernardelli, nel suo intervento, sottolinea il messaggio che fa da sfondo alla mostra. «C’è un passo comune nel Corano e nel Talmud che recita: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Su questi pannelli sono raccontate le storie di chi con i suoi gesti ha salvato il mondo intero. Storie dimenticate, che i pregiudizi nati dalle guerre attuali rischiano di cancellare». «È fondamentale – va avanti Bernardelli – concentrare l’attenzione sui Giusti dell’Islam per non perdere di vista il valore della solidarietà espresso dai principi di questa religione. Eventi come questo creano occasione di dialogo, che è l’unico modo per superare i preconcetti e i fanatismi».

«Che questa mostra – aggiunge Daniele Nahum, presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia – sia una risposta a chi, in Italia e in Europa, cerca ancora di negare la Shoah. La memoria è l’unico strumento per impedire che tragedie umane come quella dello sterminio nazista non si ripropongano. Eppure, osservando la storia recente sembra che l’oblio sia scivolato ad ammantare la verità».

Khalid Chaouki, dell’associazione islamica Minareti.it, si è augurato che la mostra «possa contribuire a far conoscere la purezza del messaggio musulmano. Le storie dei Giusti sono storie di coraggio che ha attinto a piene mani dalle fonti di una forte spiritualità. Noi giovani – conclude – dobbiamo fare in modo che la violenza non trovi più spazio». Quindi, da parte di Chaouki un rinnovato messaggio di amicizia e dialogo: «Voglio dire grazie ai fratelli ebrei. Che questo sia il primo di molti passi comuni per ragionare insieme su quanto sta accadendo in Medio Oriente, cercando di contrapporre alla cultura della violenza una cultura della pace».

15 ottobre 2009

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