Imu e parità scolastica, una vera beffa

La questione della retta “simbolica” nel nuovo regolamento del governo e l’ingiusta discriminazione per la mancata attuazione del sostegno economico di Alberto Campoleoni

La questione dell’Imu da pagare per le scuole paritarie solleva diversi problemi. Il primo riguarda l’evidente disparità di trattamento tra le scuole non statali e quelle statali, pur in un contesto che dovrebbe metterle sullo stesso piano. La legge di parità, infatti, nel 2000 definiva il sistema nazionale di istruzione come composto da scuole gestite dallo Stato e da altri enti e privati sullo stesso piano, paritarie appunto, fatte salve alcune condizioni di fondo, tra cui un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione, l’apertura a tutti, l’inserimento di allievi con handicap.

Regole precise, a stabilire un contesto generale di offerta formativa allargata e di qualità e che hanno impegnato non poco molte scuole non statali decise ad adeguarsi alle richieste. Ora, la legge di parità sembra, una volta di più, disattesa. Le scuole statali, infatti, l’Imu non la pagano e dunque non si capisce perché dovrebbero pagarla le scuole non statali ugualmente pubbliche.

La differenza, secondo il regolamento sull’Imu, la fa la retta da pagare nelle paritarie che dovrebbe essere “simbolica”, per evitare il fantasma del profitto. Ma anche qui si tocca una nota dolente, anzi dolentissima. Giacché la questione della retta rimanda al sostentamento economico delle scuole non statali, alla parità di fatto e non solo di diritto, alla concreta – e non solo proclamata – libertà di educazione, che evidentemente è menomata dalla necessità che hanno le scuole paritarie di sostenersi, altrimenti chiudono.

Il sostegno economico, che pure la legge di parità prevedeva, non c’è se non in misura del tutto insufficiente. Le rette dunque sono necessarie. Roberto Gontero, presidente dell’Associazione nazionale genitori scuole cattoliche (Agesc), è categorico: «Chiedere alle scuole paritarie di fornire il servizio gratis vuol dire farle chiudere». Non solo: spiega che proprio il servizio delle paritarie fa risparmiare allo Stato 6 miliardi e 200 milioni l’anno, poiché il costo-studente è di gran lunga inferiore.

Insomma, l’eventuale obbligo di pagamento dell’Imu andrebbe a costituire un’ulteriore, ingiustificata discriminazione per le scuole paritarie e un passo indietro sostanziale nella questione della libertà di educazione in Italia che da sempre “soffre” di pregiudizi ideologici e tuttora resta irrisolta. Una questione, tra l’altro, spesso malintesa come rivendicazione di parte, in particolare dei cattolici e delle loro scuole, quando invece riguarda la libertà di tutti e ha peso sul miglioramento del sistema formativo oltre che sulla garanzia per i diritti delle famiglie, a garanzia di libertà costituzionali.

Sempre Gontero, in una nota, ricordava come la “sofferenza” delle scuole paritarie potesse portare anche a una ricaduta pesante in termini di occupazione e di “intasamento” della stessa scuola pubblica per quel che riguarda gli insegnanti precari, a sottolineare i danni “trasversali” di una norma impropria sull’Imu. Non c’è stato governo in Italia – denuncia il presidente Agesc – dalla legge di parità in poi «che abbia realmente voluto tutelare le scuole paritarie, che fanno un servizio di qualità e hanno educato intere generazioni. La beffa – conclude – è ancor più grave perché molti dei nostri politici hanno studiato in queste scuole: hanno potuto vedere la qualità e l’attenzione alla formazione integrale dello studente». Servirebbe agire di conseguenza.

27 novembre 2012

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