Immigrati, obiettivo convivenza

Presentato il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Cresce la presenza di stranieri nelle provincie del Lazio. Nella nostra regione uno studente su 13 non è italiano di Vincenzo De Lutio

Cala l’attrazione per il centro Italia e gli immigrati, richiamati dalle sirene del lavoro, si spingono a nord. Il Lazio registra infatti 450.151 stranieri, con una incidenza del 11,6% a livello nazionale: la metà delle presenze rispetto alla Lombardia (904.814). S’innalza l’età media (32,9 anni), diminuiscono i minori (appena il 19,1% degli stranieri e tre punti percentuali in meno rispetto al dato nazionale), mentre rimane forte la presenza femminile (53,4%). Questo in sintesi il quadro della nostra regione illustrato nell’ultimo Dossier Statistico Immigrazione, a cura della Caritas e Migrantes. Si tratta del XIX rapporto dove viene analizzato l’andamento dei flussi stranieri a livello nazionale e regionale.

Con 366.360 presenze Roma continua a essere un principale polo d’insediamento ma non è più considerato un punto di arrivo. I nuovi immigrati, infatti, sembrano preferire gli altri centri urbani medio-piccoli del Lazio. Salgono così gli straneri a Latina (30892, +30,2%), a Viterbo (23.843, +16,9%), Frosinone (19.144, +15%). Vengono soprattutto dalla Romania (158.509 presenze), seguiti a notevole distanza da filippini (27.819) e polacchi (22.766). Cambia leggermente lo scenario sul fronte religioso. In cinque anni gli ortodossi sono passati dal 26,5% al 34,7%, mentre si registra un calo dei cattolici: dal 32,1% al 27,5%. Stabile invece la presenza musulmana.

«Bisogna inquadrare gli immigrati come regolari e non come clandestini – ha sottolineato Franco Pittau, coordinatore del Dossier – come lavoratori e non come delinquenti, come cittadini e non come stranieri. La vera emergenza è il catastrofismo migratorio e l’incapacità di progettare una seria integrazione che prepari allo scenario di metà secolo: 12 milioni di immigrati».

E se l’immigrazione avanza e guarda al nord Italia, le prospettive di lavoro nel Lazio, però, non mancano. Anzi. La situazione è buona, con un aumento di lavoratori stranieri del 7,7% rispetto ad una media nazionale del 7,3%. Una crescita ancora più evidente se rapportata ai dati del 2000: da 96.384 occupati ai 284.147 attuali (+194,8%). Ed è Roma a far la parte del leone con il 18,3% degli stranieri che lavora nell’informatica e nei servizi alle imprese, il 12% negli alberghi e ristoranti e il 10,3% nel commercio. Nonostante la crisi, gli immigrati prendono coraggio e continuano ad avviare aziende in proprio. Portando il Lazio, con ben 19.888 imprese (commercio, costruzioni e servizi), al quinto posto della classifica nazionale. Notevoli infine anche le “rimesse” inviate dagli stranieri nei Paesi d’origine: 1,7 miliardi di euro. L’occupazione, però, non sorride alle donne (meno del 40% quelle impiegate) e spesso sono costrette al lavoro irregolare.

«Ho frequentato molto l’Africa, constatato di persona la povertà della gente e capisco perché vengono qui – ha detto monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, facendo appello all’accoglienza –. Bisogna abituarsi maggiormente alla convivenza con gli immigrati. Roma non è più violenta di Londra o Parigi e forse si enfatizzano troppo certi episodi, creando un clima di paura. Le esigenze dell’ordine pubblico però se non verranno vivificate dagli obiettivi di integrazione, porteranno ad un doloroso fallimento. Oltre che curare le ferite, serve prevedere e intervenire per il futuro».

Un futuro che può essere rappresentato proprio dai minori stranieri e dalla loro scolarizzazione. Il Lazio conta, infatti, 61.549 studenti stranieri (il 7,5% di tutta la popolazione studentesca): ossia uno studente su 13 non è italiano. E sono ben 17.879 gli alunni stranieri nati in Italia; in pratica, uno su tre. Gli iscritti però sono in calo: 4mila rispetto agli 8mila dell’anno scolastico 2006/2007. «Gli immigrati non sono soltanto numeri da leggere – ha precisato Geneviève Magaping, italo-camerunense, docente di Antropologia culturale – ma un’umanità da comprendere nella loro unicità per l’apporto che offrono. Nella totale disperazione la peggior morte non è solo quella fisica ma quella sociale».

29 ottobre 2009

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