Il Pirandello di Placido arriva all’Eliseo

Ecco “Così è (se vi pare)”, con Giuliana Lojodice, Pino Micol e Giuliano Virgilio. Fra sarcasmo e grottesco, lo scrittore di Girgenti lancia un messaggio sulla verità di Toni Colotta

Nell’ultimo dei densi “Quaderni” che il Teatro di Roma dedica allo stato della scena italiana, Graziano Graziani ci ricorda che Luigi Pirandello è «l’unico nome ad essere riconosciuto universalmente – anche da chi a teatro non ci va – come esponente di una drammaturgia nazionale; ma un solo nome – ne deduce – equivale a nessun nome». Amara deduzione giacché si parla di eclisse dell’autore teatrale contemporaneo. Glissiamo, per carità di patria, su questo punto, e accingiamoci ad accogliere l’ennesimo Pirandello, da martedì 10 all’Eliseo, con uno dei grandi testi capace di sedurre e intrigare fuori da distinguo e mode: “Così è (se vi pare)”.

I primi spettatori del 1917 non capirono che la commedia era una delle opere fondamentali nella storia del teatro: l’accettarono come un gioco sofistico, ironico. Eppure un grande critico li avvertì che il lavoro esprimeva «il compianto per un’umanità condannata alla vanità dell’illusione». E anzi, aggiunse, che con la sua arte Pirandello aveva immesso il teatro italiano nelle grandi correnti della vita spirituale d’Europa. La storia di questo capolavoro è contrassegnata da siffatta duplice lettura.

Lo si potrà osservare ancora una volta all’Eliseo con la regia di Michele Placido, già avventuratosi con successo nella drammaturgia pirandelliana. Come per altre commedie dello scrittore di Girgenti, l’embrione del parto teatrale è in una sua novella, “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”. In un ambiente grettamente provinciale, come poteva essere ad inizio Novecento e che nel racconto ha una funzione motrice fondamentale, la Frola e il Ponza mettono a soqquadro la piccola società legata alla burocrazia locale, accendendo la curiosità malsana e pettegola intorno alla segregazione crudele e assurda di lei ad opera del genero che vuole, a quanto pare, tenerla separata dalla figlia cui impone questa ulteriore sofferenza. Ma è lui a rivelare che essa in realtà non è la figlia della Frola, e la poverina per pura follia si ostina a considerarla tale. Non ci sono documenti che certifichino il vero, per un terremoto che li ha spazzati via. E il cerchio degli impietosi inquirenti si stringe intorno ai tre. Quale dunque la verità?

Il finale non scioglie il nodo, e Pirandello fra sarcasmo e grottesco ci lancia un messaggio: la verità non è nei fatti e nei dati, è nell’altruismo e nella poesia. E per suo conto classifica questa commedia come «parabola». Nell’allestire lo spettacolo Placido si attiene alla lettura secondo la quale siamo di fronte «a personaggi martirizzati». Come regista ha potuto qui lavorare, per le parti centrali, con tre interpreti appartenenti all’aristocrazia dell’arte attorale italiana: Giuliana Lojodice, Pino Micol, Luciano Virgilio.

10 aprile 2012

Potrebbe piacerti anche