Il Natale a Rebibbia, con la visita del cardinale Vallini

Il vicario del Papa celebra la Messa nel Nuovo complesso domenica 23 dicembre. Il cappellano don Spriano: «Questo è un momento in cui la mancanza della famiglia è troppo forte» di Lorena Leonardi

«I detenuti che il carcere lo fanno sul serio non lo chiamano Natale, ma “il giorno prima di Santo Stefano”». Don Pier Sandro Spriano, cappellano del Nuovo complesso del carcere di Rebibbia, racconta che il 25 dicembre è uno dei giorni più difficili per chi sconta una pena. «La mancanza della famiglia è troppo forte, nessun pranzo con i cari. Anche se tra di loro c’è molta solidarietà, mancano gli affetti. Per questo è così importante far sentire loro che siamo fratelli, che la comunità romana “libera” è vicina alla comunità romana che si trova in carcere». Una comunità, quella di cui don Sandro è pastore, che si prepara a ricevere la visita del cardinale Agostino Vallini: il vicario del Papa, proprio nel Nuovo complesso, celebrerà domenica 23 la Messa alle 9.30.

«Per noi è importante – spiega don Sandro – perché è un evento che riattualizza la visita che il Papa ci ha fatto l’anno scorso. È la testimonianza dell’attenzione della Chiesa rispetto ai detenuti e alla situazione drammatica della vita in carcere». Dove il principale problema è il sovraffollamento, che «impedisce la dignità della persona. Non ci sono mezzi in grado di soddisfare i bisogni dei detenuti. La maggioranza viene da situazioni di povertà ed emarginazione. Il cardinale vicario – aggiunge don Sandro, che di emergenze nei suoi ventidue anni di attività in carcere ne ha viste molte – farà sentire loro che la comunità romana li sente e li vuole vicini. Noi siamo una Chiesa lì dentro: preghiamo, condividiamo, ascoltiamo la Parola di Dio. E celebriamo il Natale. Ogni domenica di Avvento ospitiamo comunità di diverse parrocchie per la Messa, promuoviamo un concorso di presepi, il cui vincitore verrà decretato il giorno dell’Epifania».

I detenuti, i cui volti sono stati raccolti in un volume che la Caritas diocesana presenterà la prossima settimana, sono intanto impegnati nella preparazione dei presepi, «che poi verranno posizionati in diversi punti del carcere, così il clima sarà un po’ meno tetro». In passato, racconta don Sandro, «abbiamo organizzato qualche concerto con cori di bambini, ma i detenuti non facevano altro che piangere. È grande il dolore che questi uomini portano dentro: non sono mostri e delinquenti incarogniti. Quando parlo vedo trecento persone che desiderano portarsi una speranza in più. Non solo aspirano a essere liberi ma a riflettere sugli errori della loro vita, cercano qualcosa che possa nutrire il loro cuore».

Il bisogno di umanità è l’esigenza primaria anche secondo Stefania Tallei, da vent’anni volontaria della Comunità di Sant’Egidio: scontano una «doppia pena», spiega, «per il sovraffollamento e per la mancanza di prospettive. Trascorrono anni dentro a una cella senza che di fatto si svolga una rieducazione. I letti a castello sono a tre piani, non ci sono spazi per la scuola, i corsi di formazione, le attività che restituiscono una nuova vita». Un numero così grande di detenuti, prosegue, «è ingestibile: mancano assistenti sociali, il cibo è diventato scarso. Anche le famiglie fuori sono più povere a causa della crisi». Il Natale, racconta, «è un momento molto duro, in cui ci sono molti suicidi». La Comunità organizza pranzi e feste, non solo a Rebibbia, ma anche a Regina Coeli e all’istituto di custodia attenuata. «I nostri – spiega la volontaria – sono segnali che, anche se non coinvolgono tutti, rappresentano una buona notizia. Tanti detenuti ci hanno detto che sono felici quando qualcuno li invita a un momento di condivisione. Così abbandonano almeno per un po’ il buio della loro cella. E anche il loro buio interiore».

20 dicembre 2012

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