Il destino di Dmitrij Karamazov
Il terzo fratello è il vero motore del romanzo di Dostoevskij, lo scrittore russo amato da Papa Francesco, che lo citato nella “Lumen fidei”. Nessuno come lui ha saputo rappresentare l’enigmaticità dell’essere umano di Paolo Pegoraro
Tra i tanti autori amati da Papa Francesco c’è Fëdor Dostoevskij: non solo lo raccomandava come «autore da leggere e rileggere» durante il volo di rientro da Rio, ma lo ha perfino citato nella “Lumen Fidei”, enciclica densissima di riferimenti letterari. Dostoevskij il profeta, «la guida spirituale del popolo russo» secondo l’espressione del filosofo Vladimir Solov’ëv, che tuttavia conosciamo spesso solo attraverso qualche brano celebre, come il poema del Grande Inquisitore. Passo straordinario, e tuttavia quasi marginale, nella grande cattedrale che sono “I Fratelli Karamazov”.
Proprio i Karamazov rappresentano il vertice letterario del genio russo. Un’ambientazione ristretta a pochi centri abitati, un parricidio oltre metà romanzo, un processo estenuante e una manciata di personaggi che in ogni momento paiono capaci di qualunque cosa. È frequentissimo incontrarli trafitti dall’interrogativo: “Ma io perché ho fatto questo? Perché provo questa irritazione? Come mai, d’improvviso, ho cambiato idea?”. La risposta, il più delle volte, è: “Non lo so”.
Nessuno, come Dostoevskij, ha saputo rappresentare l’enigmaticità dell’essere umano, imperscrutabile ai propri stessi occhi. Impigliati in una rete di autoinganni e suggestioni illusorie, agiamo in una inconsapevole tranquillità, fino a quando la carica esplosiva che ci portiamo dentro origina le decisioni più inattese, nel male come nel bene.
Nella lettura di questo romanzo, si finisce spesso per polarizzarsi sulle posizioni metafisiche di due fratelli, il monaco Alësa o l’ateo Ivan. Il mondo interiore di Alësa non ci è però del tutto noto. Non lo troviamo mai fermo. Alësa si muove avanti e indietro per tutto il romanzo, portando lettere dell’uno all’altro, informando, mettendo in contatto, rappacificando: è un “angelo” nel senso letterale del termine, cioè un messaggero, qualcuno per cui la funzione prevale sull’affermazione dell’io.
Ivan, al contrario, parla raramente a nome di terzi. La sua acutissima intelligenza serve ad argomentare i propri dubbi, a discettare, a provare e provocare, in un cortocircuito sempre più soffocante, fino al momento in cui non gli compare – sogno? delirio? – il diavolo in persona. Quel demone che è immagine della chiusura interiore definitiva e irrevocabile, che non convince Ivan ma raggiunge il proprio obiettivo con Smerdjakòv, il fratello condannato a essere “servo triste”.
Ma è tra queste due sponde che si muove il vero motore dell’opera. È il terzo fratello, Dmitrij, uomo in balia delle proprie passioni, vissute però sempre senza infingimenti, e dunque senza perdere il senso dell’onore. Per Dmitrij le due prospettive sono sempre aperte: in ogni momento contempla l’abisso che si spalanca sotto i suoi piedi e l’abisso che squarcia i cieli sopra il suo capo. Egli può tradire, insultare, odiare, annunciare propositi omicidi, certo, ma soprattutto ama, visceralmente e senza ripensamenti. Non mente mai sui propri sentimenti. Mentre i personaggi che finiscono per mostrare cedimenti interiori più o meno gravi sono coloro che non ammettono l’amore, perché non lo riconoscono o non ne sono capaci. “I Fratelli Karamazov” non saranno, dopotutto, nient’altro che un romanzo d’amore?
La citazione
«La bellezza è una cosa tremenda e paurosa. Paurosa perché indefinibile, e definirla non si può perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due sponde si raggiungono, qui tutte le contraddizioni convivono. […”> No, immenso, troppo immenso è l’animo umano: io lo restringerei. Chi lo sa con precisione che cos’è? Ci si raccapezza il diavolo, ecco! Quello che alla mente appare una vergogna, per il cuore, invece, è tutta bellezza. […”> È orribile il fatto che la bellezza sia non soltanto una cosa tremenda, ma anche misteriosa. Qui il diavolo lotta con Dio, e il campo della battaglia è il cuore dell’uomini».
Il libro
Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, San Paolo, pp. 952, 24 euro (traduzione integrale dal russo di Giacinta De Dominicis Jorio)
24 settembre 2013