Il cardinale Parolin: «I nuovi martiri, uomini come noi»
A Santa Maria in Trastevere la veglia promossa dalla Comunità di Sant’Egidio in memoria dei tanti uomini e donne ancora oggi uccisi in odio alla fede, presieduta dal segretario di Stato vaticano di R. S.
Padre Frans Van Der Lugt, il gesuita assassinato a 75 anni ad Homs, in Siria. Si è aperto con lui l’elenco dei «nuovi martiri» cristiani ai quali era dedicata la veglia che si è svolta ieri sera, martedì 15 aprile, nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Un momento di preghiera nel quale ricordare tutti coloro che, nei vari angoli del mondo, sono stati perseguitati, discriminati, hanno subito violenze e persecuzioni. A volte fino a perdere la vita, a motivo della fede. Fra loro anche Sharafat Bibi, 20 ann: una dei 22 laici assassinati da estremisti islamici in Pakistan, a partire dall’autunno scorso. Era il 28 maggio 2014, suo primo giorno di volontariato, quando venne uccisa alla periferia di Peshawar, mentre si adoperava per portare cure mediche alla popolazione.
Nel nome “cristiano” c’è «la forza umile e pacificatrice di cui sono portatori» uomini e donne che ancora oggi vengono uccisi «non perché detengono un potere politico, economico o militare ma perché testimoni tenaci di un’altra visione della vita, fatta di abbassamento, di servizio e di umiltà». Le parole del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin hanno accompagnato la preghiera per i «nuovi martiri» cristiani. Anche oggi, ha ribadito il porporato, esiste l’«odio anticristiano», che perseguita e uccide. Ma questi cristiani «nella loro debolezza, ci sono prossimi, mostrandoci che la forza viene da Dio e che è sempre possibile uscire da sé e raggiungere i lontani, anche se ci percepiscono come nemici». E ha ricordato le parole di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium: «Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio». I nuovi martiri, ha detto il segretario di Stato, «equipaggiati solo della fede e del servizio agli ultimi, impensieriscono chi ordisce trame di morte perché difendono la vita. Hanno varcato i confini e le barriere imposti dalle nazioni, dalle culture e dalla globalizzazione della differenza, facendo conoscere ovunque il nome di Gesù. Ci sembrano eroi lontani dalle nostre contraddizioni e dalle nostre debolezze, invece sono uomini come noi, anzi hanno vissuto con noi».
Spesso, ha osservato il cardinale, a motivo del sacrificio dei tanti che hanno perso la vita per il Vangelo c’è stato il «rifiuto di piegarsi agli idoli del ventesimo secolo: il comunismo, il nazismo, l’ideologia dello Stato o della razza». Tanti altri «sono caduti vittime nel corso di conflitti etnici o tribali. Religiosi e religiose che hanno vissuto la loro consacrazione fino all’effusione del sangue, uomini e donne credenti che sono morti offrendo la loro vita per i più poveri e i più deboli». In ogni caso, tutti hanno vissuto da «testimoni della fede», anteponendo al proprio tornaconto, al proprio benessere e persino alla propria sopravvivenza «la fedeltà al Vangelo». Pur nella debolezza, ha continuato il porporato nella sua omelia, «hanno opposto una strenua resistenza al male. Questa forza attraversa la Chiesa e le nostre comunità cristiane. Sono cattolici, ma anche ortodossi, evangelici, anglicani». Una forza, la loro, «che il mondo non conosce e che si manifesta come sconfitta e umiliazione di quanti soffrono a causa del Vangelo».
16 aprile 2014