«Il capitale umano», il thriller di Virzì

Il regista livornese alle prese con un genere per lui inedito. Nel suo nuovo film racconta un giallo lombardo dalle dinamiche narrative logiche e precise; una radiografia sociale asciutta, quasi neutra di Massimo Giraldi

Tra le novità significative in questo inizio di anno, si segnala Il capitale umano, il nuovo film di Paolo Virzì, in uscita nelle sale dal 9 gennaio. Esordiente ormai quasi vent’anni fa (La bella vita, 1994), il regista livornese ha proseguito una carriera che lo ha portato a essere indicato come l’erede dei grandi nomi della commedia italiana (Risi, Monicelli, Comencini…): un cinema che intende far ridere e insieme riflettere, pensare, sognare. La storia prende avvio in Lombardia, e più precisamente in Brianza, zona ad alto tasso di sviluppo economico, dove il lavoro ha creato molta ricchezza e non sempre ne ha restituito gli effetti.

Dino è un immobiliarista cinquantenne che, arrivato a un punto morto, cerca di appoggiarsi al ricco Giovanni Bernaschi per mettere a segno il colpo che potrebbe cambiargli la vita. Carla, moglie di Giovanni, vorrebbe vivere giornate differenti dall’inerzia di quelle che passa accanto a un marito sempre preso da riunioni e affari. In una notte fredda alla vigilia di Natale, un incidente poco chiaro dove muore un lavoratore complica la situazione e i rapporti tra i protagonisti di una vicenda i cui contorni diventano a ogni passaggio più intriganti.

«Il copione ha un andamento poliedrico – dice Francesco Bruni, cosceneggiatore -. I tre capitoli in cui è diviso raccontano lo stesso lasso di tempo attraverso un testimone e uno sguardo differente, e l’unione dei tre punti di vista fornisce il quadro completo della vicenda. Si respira l’aria del giallo, del rompicapo che ti porta lentamente alla scoperta della verità, dopo averti fuorviato più volte». All’origine c’è un romanzo omonimo scritto dall’americano Stephen Amidon, ambientato in una cittadina del Wisconsin, un thriller a sua volta, «che abbiamo adoperato – afferma Virzì – con una certa disinvoltura, traendo spunti per un’abbondante materia che avrebbe potuto nutrire una dozzina di puntate di una grande “serie televisiva”».

Scatta però quel meccanismo che sempre interviene tra pagina scritta e immagine: se non si conosce il romanzo, il paragone non ha motivo di esistere. Così, a poco a poco, l’atmosfera lombarda entra nella pelle del film e lo plasma con facilità. Finora abituato a dare anima e corpo a storie di vita spesso ai margini, Virzì cambia decisamente registro e si getta sull’altra faccia della medaglia. Dopo un inizio un po’ incerto, le dinamiche narrative acquistano logica e precisione, il clima si fa pressante, la resa dei conti inevitabile. A parte qualche sbavatura nelle psicologie (il personaggio di Lo Cascio), la tensione regge e Virzì vince la scommessa di una radiografia sociale asciutta, nervosa, quasi neutra, dilatata dentro delusioni e lamenti sociopolitici ai confini del melò.

7 gennaio 2014

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