I racconti di Manto, tra miserie e riscatto

La casa editrice Fuorilinea propone quindici storie dello scrittore nato indiano e morto pakistano, in cui si narra, con ironia lieve e dolente, la vita di Bombay di Andrea Monda

Al termine della lettura dei 15 racconti di Saadat H. Manto viene in mente una frase de “Il nocciolo della questione”, di Graham Greene: «Qui nessuno avrebbe mai potuto parlare di un paradiso in terra: il cielo rimaneva rigidamente al proprio posto al di là della morte, e al di qua prosperavano le ingiustizie, le crudeltà, le grettezze che altrove la gente riusciva abilmente a mascherare. Qui si potevano amare le creature umane quasi come le ama Dio stesso, conoscendo il peggio di loro». Anche l’India di Manto non è un Eden, ma si trova a metà tra Inferno e Purgatorio, brulicante di meschinità, possibilità di riscatto e di umanità.

Nato in India nel 1912, Manto è stato traduttore, narratore, giornalista e sceneggiatore per Bollywood. I suoi racconti ruotano sul tema della «partizione», la violenta divisione tra India e Pakistan avvenuta nel 1947 dopo la fine dell’impero inglese che causò violenze di ogni tipo che, si valuta, causarono circa un milione di morti. Nato indiano e morto pakistano, senza aver mai accettato il ripudio della madre India e l’abbraccio del Pakistan, Manto ha raccontato questa tragedia. Oggi è acclamato come grande scrittore ma in vita fu più volte accusato di oscenità e venne ostracizzato fino alla morte, avvenuta per cirrosi epatica nel 1955 a soli 43 anni.

Il merito di questa raccolta di racconti, pubblicati dalla casa editrice romana Fuorilinea, è quello di aver offerto all’attenzione del lettore italiano la prosa di un narratore considerato da Salman Rushdie «l’indiscusso maestro del racconto moderno proveniente dal subcontinene indiano», mentre Anita Desai ha affermato che «l’ironia e l’umanità di Manto lo innalzano allo stesso livello di Gogol». La «misura» di Manto è quella dei racconti che, come diceva Borges, «sono sempre delle vere storie, e gli uomini hanno sempre amato raccontare e ascoltare storie. Il romanzo invece è sempre una costruzione».

La stessa ironia, lieve e dolente, di Borges si ritrova in questi racconti che al loro centro vedono la grande Bombay, con il suo sottobosco di prostitute, perdigiorno, attori scombinati. Storie scabrose e tuttavia mai volgari, quelle di Manto, come “Mamma”, che in filigrana mostra il destino dello stesso autore, descrivendo un mondo allegro e vitale che «era un po’ come il pancione di una donna incinta: un po’ strano ma perfettamente innocente e immediatamente comprensibile». Storie dolenti, come lo struggente “L’ultimo saluto” in cui due vecchi amici si trovano uno contro l’altro sul fronte di una guerra assurda. In questo mondo brulicante di vita e di morte, Manto riesce a sorridere con ironia e affetto, guardando gli uomini dare anche il peggio di sè ma senza giudicarli. Anzi, partecipando con loro, dando una voce agli sconfitti della storia, ma non della vita.

“Il prezzo della libertà”, Saadat H. Manto, Fuorilinea, pp.191, 16 euro

14 giugno 2010

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