I classici/Inni e frammenti di Friedrich Hölderlin
La poesia come ricerca di accordo tra nostalgia degli dèi e presenza del Cristo, drammatico incontro tra paganesimo e cristianesimo di Marco Testi
Se si volesse seguire un poeta nel suo scivolare lento nella notte della follia, mai opera sarebbe più illuminante degli Inni e frammenti di Friedrich Hölderlin (1770-1853), nella traduzione del “classico” Leone Traverso (l’edizione in mio possesso è quella di Vallecchi del 1974). La poesia del tedesco, figlio di un pastore protestante, egli stesso avviato a studi religiosi ma anche classici, è qui una sorta di graduale e drammatica testimonianza di una mente che si avvia verso altri lidi che non quelli della ragione umana: ma in questa nuova strada è possibile trovare frammenti di bellezza, di mistica comunione con il tutto, di preveggenza abissale. Negli Inni, alcuni dei quali, come l’emblematico “Patmos” sono stati riscritti più volte, si tocca con mano il destino tragico di Hölderlin: egli tenta disperatamente la conciliazione della sapienza classica con il cristianesimo. Talvolta l’accordo sembra ad un passo, e l’aquila giovannea sembra poter comprendere la precedente spiritualità, altre volte sfuggono i nessi, cedono le possibilità di accordo, e la terra diventa vuoto deserto da cui gli dèi sono fuggiti. Mai però la tensione visionaria viene meno, e in questo permanere della forza profetica un pensatore come Gadamer ha potuto riconoscere l’essenza della poesia del tedesco: nel momento in cui la nostalgia del sacro e l’aspirazione al suo ritorno sono enunciate, esse realmente fondano il ritorno della divinità. In Hölderlin si riassume lo scontro tra due tendenze che alla fine del Settecento si fronteggiavano in Europa, alle quali per comodità sono state date i nomi di classicismo e romanticismo, ma che in realtà presentano caratteri molto più sfumati e problematici. Da una parte una aspirazione alla bellezza assoluta, che aveva alle radici l’arte greca, non come mera imitazione, ma come riappropriazione di quelle radici attraverso il viaggio e l’estasi; dall’altra la necessità di trovare altrove le sorgenti della civiltà moderna, nel crogiolo medievale dove andavano formandosi gli umori localistici che avrebbero formato le nazioni. In questa seconda tendenza, permanevano sia suggestioni pagane e arcaiche (dalla Grecia alla Germania barbarica) sia una lettura del cristianesimo come forza cementante della nuova Europa.
Da un crogiolo del genere nacquero le poetiche di Kleist, di Goethe, di Schiller, e appunto di Hölderlin, che però tendeva più all’ascolto dei fantasmi interiori e dei sogni di palingenesi contro la mediocrità dei tempi. Il poeta si rende conto che solo con l’unità si può spiegare la molteplicità del mondo, e che solo la divinità può giustificare la assidua ricerca di bellezza che non è più solo umana: «Molta bellezza io ho veduto,/ e l’immagine cantai/ di Dio, che vive/ tra gli uomini, ma pure,/ voi numi antichi e tutti/ voi prodi figli dei numi». Cristo è inteso come punta ulteriore di un cammino graduale di una umanità verso la propria redenzione, e in questa visione particolare del cristianesimo è da vedere la suggestione dell’idealismo hegeliano, oltre che di un immanentismo lacerato dalla lama della trascendenza. Poesia come contraddizione in un processo di ricerca di unità, quella di Hölderlin, che proprio in questa schizofrenia di fondo trova la sua bellezza e il suo fascino. Non è forse un caso che anche il destino personale del poeta sia stato quello della schizofrenia, fino alla sua morte dopo 37 anni passati in quieta demenza nella solitudine della torre del falegname sul fiume Neckar.
Un mito, ancora un mito pagato a caro prezzo, quello della follia o della morte volontaria, nella storia contraddittoria della poesia, come in Kleist o in Campana o in Majakovskij, che negli Inni di Hölderlin ci appare in tutta la sua tragica e talvolta sconcertante, misteriosa, bellezza, e che ci attira ancora oggi, nonostante i nuovi linguaggi, le nuove forme e i nuovi contenuti. Ma è anche la prova di come la ricerca della verità e del fondamento unitario del mondo continui a interessare alla gente nonostante un mercato che indica altre realtà e altri modi di vita. La realtà, dice l’attuale venditore di cultura mediatica, è tutto ciò che si può vedere e toccare, qui ed ora. Tutto il resto è suggestione, delirio, sogno infantile o demente, illusione religiosa. Esattamente il contrario di quello che avevano intuito Hölderlin e Goethe, Kleist, e per uscire dalla Germania, Dante e Milton, Petrarca e Chesterton, Donne e Eliot, Ungaretti e Luzi, Bernanos e Borges. Nomi di nessuna importanza, come ognuno può constatare.
27 giugno 2007