Giuseppe Dalla Torre

Il dibattito sui “Dico” nel colloquio con il giurista, rettore della Lumsa, che sottolinea la necessità di aiutare la famiglia di Francesco Lalli

Forum: una campagna capillare di informazione sulla famiglia

Le polemiche intorno al provvedimento ribattezzato Dico (diritti e doveri dei conviventi) non accenna a spegnersi. Della questione parliamo con il rettore della Lumsa, e docente di diritto ecclesiastico e canonico, Giuseppe Dalla Torre.

In un suo recente editoriale per Avvenire ha messo in evidenza come, con il provvedimento riguardante i Dico, per la prima volta il diritto entri nel campo dell’affetto. Basta l’affetto a fare la coppia?
Certamente l’affettività è un fattore importante, anche se è l’impegno a volere il bene dell’altra persona che caratterizza il matrimonio. Detto questo, però, nell’ambito del diritto il campo dei sentimenti è irrilevante. Tanto che, per fare un esempio, non è possibile annullare un matrimonio perché ci si è sposati per interesse invece che per amore. Gli sposi, di fatto, si assumono diritti e doveri che non sono privati, ma pubblici e collettivi. Il fatto che un figlio sia legittimo o meno, il fatto che la società sia chiamata a partecipare nell’educazione dei figli, non sono aspetti senza significato e non sono aspetti privati. Come diceva un grande studioso di diritto come Arturo Carlo Jemolo, che certo non è sospetto di clericalismo, «la famiglia è come un’isola che il mare del diritto può soltanto lambire».

Nel suo articolo adombrava, in modo un po’ provocatorio, addirittura la possibilità dell’incesto…
Il mio era un discorso conseguenziale. La civilistica del matrimonio ignora completamente quei “vincoli affettivi” che sono alla base dei Dico. Questo è certo. Se poi per “affetto” s’intende la pratica sessuale che non si ha il coraggio di chiamare con il proprio nome, le cose peggiorano ulteriormente. Perché, innanzitutto, anche in questo caso si finirebbe con il dare dimensione pubblica ad un aspetto del tutto privato come l’eros, in secondo luogo – visto che il disegno di legge esclude dal ricorso ai Dico i soli consanguinei in linea retta – lo permetterebbe in linea teorica tra fratelli, sorelle, zii e nipoti.

Alla sociologa Chiara Saracena, sulle pagine del quotidiano La Stampa, criticando le posizioni del Papa è sfuggita la frase «il matrimonio monogamo ed eterosessuale non è più l’unico modello presente in Italia». Ma allora, a parte l’incesto, si apre anche una possibilità per la poligamia?
Non c’è dubbio. Anche perché nel testo non è detto che in presenza di un Dico non sia possibile instaurare un altro Dico, mentre è specificato che non è possibile instaurarne uno in presenza di matrimonio. Quindi un domani si potrebbe arrivare anche ad una situazione del genere che, per altro, non sarebbe contraria solo all’articolo. 29 della Costituzione ma anche all’articolo 3.

Insomma un testo che nasce come un pasticcio…
Questa è la sensazione. Non solo la mia, e non solo di studiosi di area cattolica. Certo, sorge il dubbio che alla base dell’iniziativa vi sia un’esigenza puramente ideologica. Non voglio sparare a zero contro chi ha scritto il provvedimento e non dubito della loro buona fede, ma siamo in presenza di un testo che tende a scalzare valori fondamentali.

Una piccola provocazione, professore. Si vuole salvaguardare la famiglia tradizionale, ma quest’ultima – anche in questi giorni – è al centro di storie terribili di uccisioni, segregazioni, maltrattamenti, abusi sessuali. Non è che di fronte a tutto questo molti potrebbero pensare: «Beh, se questa è la famiglia tradizionale, ben vengano le coppie di fatto?»
Forse la cronaca potrebbe dar adito a una riflessione del genere. C’è da dire però, che sulla stampa e in televisione appaiono solo questi casi estremi e mai, o quasi mai, l’enorme contributo che la famiglia dà alla società e allo Stato i cui compiti spesso supplisce. In secondo luogo, se la famiglia tradizionale versa in queste condizioni la prima cosa da fare è aiutarla. Invece accade il contrario: la si penalizza sotto il profilo fiscale, tributario, dei servizi, quando l’art. 31 della Costituzione recita: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». E poi c’è una questione di fondo: la famiglia è un’istituzione costituzionalmente contingente o è un fatto naturale? L’antropologia e la storia ci dicono che la famiglia è un dato immutabile. I padri costituenti nel parlare di “società naturale” vedevano in essa delle basi connaturali al profilo della società.

Ma senza i Dico, sostiene qualcuno, saremo un po’ meno europei.
La preoccupazione europea potrebbe aver giocato un ruolo. Ma non è detto che se tutti fanno una cosa quella cosa sia buona. L’assetto che la famiglia ha nella nostra Costituzione rientra nell’ambito di un nucleo di principi detti “fondamentali” e che sono immodificabili. Su questo non siamo tenuti ad armonizzarci con gli altri ordinamenti europei.

22 febbraio 2007

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